sabato 24 novembre 2012

La Montagna nel cuore


La Montagna nel cuore
poesie

Un libro che parla di montagna, profuma di filosofia, ha il sapore della vita


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Nota d’autore

La Montagna nel cuore è un libro di poesie che parla di montagna. Ho sempre voluto scrivere poesie che parlassero di montagna, fin da quando, prima ancora che adolescente, fui iniziato alla sua frequentazione. Sin dal primo passo, parecchi anni fa, ho avvertito una specie di sensazione o forse sarebbe meglio chiamarla una predisposizione verso la montagna. Ciò che a quei tempi non riuscivo a capire, era cosa potesse riguardare quella predisposizione. Ho sempre sentito come una spinta, un impulso verso la frequentazione di quei luoghi, con il risultato finale che ad ogni rientro a casa, quella sensazione non si assopiva per la compiuta recente frequentazione, bensì si incrementava una volontà al ritorno, ad una nuova ascesa. Quei luoghi, quegli spazi, mi ispiravano. Lentamente cominciai a capire che se da un lato trovavo un beneficio fisico, dall’altro veniva stimolato il mio pensiero, la mia mente. Così cominciai a scrivere. Dapprima racconti, ma l’impressione fu da subito quella di un mero resoconto alpinistico e questo non appagava e affiancava le sensazioni provate. Giunsi così alla poesia e le parole cominciarono a sgorgare come acqua di fonte. Più andavo in montagna, più quel ruscello acquisiva forza, impetuosità. Improvvisamente dieci anni fa, la morte si è avvicinata a me e ha tentato di prendermi, invano, alla fine mi ha lasciato andare. Non ne conosco la ragione, ma mi piace pensare che abbia visto qualcosa dentro di me ed abbia preferito lasciarmi andare ancora per i monti. Per frequentarli, per raccontarli. Un giorno, abbastanza recente, ho riletto le centinaia di poesie che avevo raccolto e un lieve bagliore ha cominciato ad illuminare la mia mente ed il mio cuore. Tutto ciò che avevo scritto nel tempo poteva essere ordinato in un certo modo, ed alla fine quella silloge assumeva le sembianze proprio di un sentiero, di una ascensione. Ho cominciato a chiedermi se fosse capitato solo a me di provare simili sensazioni e sono partito con piccole ricerche, che sono presto sfociate verso le vastità della storia, della letteratura e della filosofia. Mi sono accorto, che da parecchie migliaia di anni le civiltà più diverse erano culturalmente, religiosamente e misticamente attratte dalle montagne. Personaggi studiati superficialmente alle scuole superiori, si sono rivelati ai miei occhi come, affini al mio stesso animo, addirittura azzarderei complici in una scalata, come dei compagni di cordata. Ecco che la dimensione fisica della montagna ha assunto gli inquietanti toni della Montagna mistica, della scoperta del proprio limite intellettivo, del riavvicinarsi a colei che già mi aveva concesso la libertà: la morte. In un contesto concettuale metafisico, giunto in maniera piuttosto irruenta, trovano senso le parole dei filosofi che già da millenni teorizzano ideali epurativi dei monti. Ogni passo effettuato è divenuto insieme esperienza fisica e mentale. La Montagna svelatrice del percorso del divenire, culminante in una coscienza nuova, d’umiltà d’intelletto e di spirito; la consapevolezza del sapere di non sapere. La frequentazione della Montagna diviene così per me esperienza di filosofia, o meglio di cammino filosofico. Impossibile riassumere questa idea meglio di come fece Nietschze: filosofia, è la libera scelta di vivere tra i ghiacci e le alte cime. Elevate vette, per sconfiggere la pigrizia e suggerire l’abbandono. La scoperta impensabile d’un punto d’incontro, un apice comune tra filosofie e culture orientali ed occidentali. La difficoltà fisica che implementa un ascesi mentale, che da sola non porterebbe nulla, se affardellata di un bagaglio inutile ed ingombrante. Ecco il suggerimento all’abbandono allora, da tutto ciò che è bagaglio intellettivo assodato, che oscura l’orizzonte del nuovo, impedimento verso quella  stessa luce che lo schiavo, nato nella caverna, deve seguire per giungere alla vera libertà. Esempio esaltante fu per me il Petrarca, che proprio sulla cima del Ventoux, colse la luce delle parole d’Agostino e iniziò da quel momento un ben altro tipo di scalata. L’essere umano è condizionato dal tempo e dalla materia, come indicava Heiddeger in essere e tempo, ed è solo proprio l’abbandonare dogmi esistenziali di questo tipo, che la mente, il pensiero, può cominciare un’ascesa ascetica reale. Accompagnando come guida alpina, lo spirito verso il baratro del proprio limite, consegnando l’uomo all’unico strumento esistente capace di rendere la soggettività fisica di ogni cosa, in reale oggettività: la morte. Una metaforica morte del pensiero, l’azzeramento, il nulla. Nulla a che vedere con il buio crepuscolare di correnti poetiche, ma un’assennata rinuncia, primo passo di una nuova rinascita. Per giungere alla vetta, realmente vuoti, nudi di ogni cosa e capaci quindi di cogliere ogni cosa provenga dall’elevazione. Un assorbimento non per finale dissoluzione, ma per un ritorno vallivo, d’animo nuovo e soprattutto consapevole di esistere in un esistenza mutabile e senza fine: fisica e mentale, spirituale. Difficile, impegnativa, improba forse, eppure percorribile, ascendibile.
Comincio ora a rendermi conto cosa fosse quella sensazione di predisposizione: una volontà intrinseca all’anima di cercare il più totale assorbimento naturale, una dissoluzione e ricomposizione personale; in altri termini una piena e forse celeste armonia. Solamente alla fine di un così arduo cammino, l’istintivo uomo potrà avvicinarsi alla montagna più ardua che ognuno possa immaginare, ed uscirne non conquistatore o vincitore, ma depredato d’umanità e finalmente libero. Libero di essere una persona. Persona nuova. Trova ampio senso, concludendo, la frase di Guido Rey, esponente insieme ad Ugo De Amicis, di quel periodo alpinistico a me congeniale, denominato alpinismo mistico, frase con la quale apro la prefazione del libro appunto. Citazione doverosa, che esorta appunto a muovere il primo passo, perché in fondo non è necessario raggiungere la cima ad ogni costo, la rinuncia fa parte del complesso cammino e lo scopo finale non è certo il raggiungimento della vetta. “ La montagna è fatta per tutti, non solo per gli alpinisti: per coloro che desiderano il riposo nella quiete come per coloro che cercano nella fatica un riposo ancora più forte”. Da qui l’augurio di lasciarsi trasportare dalla mistica fatica verso le più elevate vette sospirate, consapevoli che solo quando l’ideale di cammino e non di vetta sarà entrato in noi, potremo iniziare una reale catarsi.    


                                                                                     Camòrs