venerdì 20 dicembre 2013

Buon cinico Natale



Buon cinico Natale

M'abbruto appesantito
all'esequie del meriggio.
Perduto in fumi di pensiero,
balzanti, come luci a natale.
Lo spettro d'una festa,
avidamente ambita
e poi
lentamente umiliata
sul giogo degli anni.
Invidio i frammenti
tra risate di giochi,
di serena felicità.
Ambisco alle profondità
degli occhi di quei bimbi,
ma discosto per vertigine.
Mai più mendace racconto
fu tanto ricercato dai giusti.
S'aggrappa il gelido cor
all'infame ricordo,
avvinghia rovinoso l'idea
di tal gioia o magia;
che quando si prova
nulla s'avverte,
e quando s'ha ragione
nulla si prova.
Ringrazia dunque,
fanciullo,
non del giorno Santo,
donato dai secoli alla storia,
ma che l'animi che t'attornia
sian di fatto commedianti.
M'attosco
nel torpore di limbo,
in sonno di noia.
Fortuna vuole che il domani,
è già nuova attesa.


Camòrs



Nella presente poesia non è presente alcun riferimento alla religione, ma solo all'aspetto economicamente più consumistico e consolidato di un'opulenta, arrogante ed autolesionista ambitudinarietà moderna.

giovedì 28 novembre 2013

Ice path

Canalone Bobbio - Resegone mount - Lecco (Italy) 27 November 2013



 
For an instant there's not difference
between reality and dream,
between dark and light,
between life and death.

Camòrs


lunedì 25 novembre 2013

2002, March the 23rd

--- After foreword: "Who really am I?" ---

23rd March 2002

The cold was biting in that sunny morning of end of March, the street was deicing while my car lazily going behind a truck. I can't say where I was, It's still covered by reserved code, but something or somebody knew perfectly which was my position that day. I was driving without particular attention because I didn't think it could happening something wrong in my mission, at the end it was not the first and wouldn't be the last.
I did the check list before leaving the base and furthermore I knew well all details of the plan. Suddenly after one hundred kilometres from my starting point the pen of fate wrote for me a brand new history. I heard the sound of an explosion behind the car dashboard and wheels suddenly steered to my right, driving the car to the roadside with a velocity of 100km/hrs. There my car found the guard rail and due to the violent impact it jumped on its side and began the rolling over. The collision dameged the fuel tank and also the shut off valve went wrong in its work. During the five overturning fuel had covered completely every corner inside, me included.
As soon as the car was stop the fire wrapped up it all around me, inside and outside. Car glasses were totally broken and with the air contact the blaze was already an enormous fire column. Plastic inside was in melting and luckily I was still awake, thanks to fear and to adrenaline I unfastened the safety belt and I came out from the empty window space. Once out I run, fast than a shot. After few second I heard a new explosion. I turned back the gaze, my car was jumping for a couple of meters on air. I was burned on the hands, on face, in the heart. I sat down on the
blacktop awaiting the ambulance. I was in really pitiful condition but I was survived.
Soonest I was accompanied to the nearest hospital where i entered in coma for more or less ten days and when
I came back in this world I was transfered in a special hospital for seared.
I can't tell anything about the results of investgation. What I can tell is how I learned to fight against depression
in the following years.


sabato 23 novembre 2013

L'Autore


L'Autore

Ho sempre scritto solo per me stesso,
non per compiacere gusti altrui.
Per sfogo o cos'altro, non saprei.
Non ho mai avuto interesse in un
compiacimento esterno,
ma solo nel ricercare lo stupore
in ciò e ove la mia mente
poteva approdare.
La stilistica, come forma d'arte,
è fondamentale ma non sufficiente
a rendere un diario un libro,
un pensiero in una frase. 
E' un percorso accidentato,
autolesionista, a volte traumatico.
E' l'unico modo per cogliere nel segno,
qualunque sia il bersaglio.
Come pensare che un individuo,
per il semplice fatto di esistere,
possa ritenersi un uomo?
La vita chiede di esporsi al giudizio,
in primis di se stessi;
in rima o in prosa,
non ha alcuna importanza.

Camòrs

domenica 17 novembre 2013

Panorama di una nuova vita

Mi siedo sulla panchina di legno, su quest’ansa di strada sterrata che dalla vecchia dogana scende al canale. Da qui si domina tutto, si ha una visuale impagabile. E’ da molto che non mi fermavo qui ad ammirare il paesaggio, come è cambiato anche se nulla è mutato realmente, solo la stagione. L’aria oggi è tiepida, anche se non dovrebbe esserlo, forse un regalo che ricevo dal destino prima dell’inverno. In lontananza intravedo impettita la sagoma del Monte Rosa, ornato fino ai piedi da drappi d’avorio, ai fianchi di quella maestà tutta la sua corte risalta vestita con le stesse gelide stoffe, che sempre tutto mutano; almeno fino a tarda primavera. In basso, ai miei piedi, laddove imperava l’intenso verde di robinie e querce, ora ombre scure già avvolgono rami semispogli, anche se il meriggio è solo all’inizio. Qualche macchia d’ocra e d’oro ambrato ancora dona frammenti e tonalità di colore alla valle che procede al letargico riposo. Sfila tra i rami un serpente d’argento, visibile solo a tratti, nasconde le sue spire ora quiete il Ticino. Filamenti e velature d’umidità, danzanti fantasmi, innalzatisi dalla terra giungo al cielo. S’impregnano di un giallo pastello, creando giochi di luce che ingannano l’occhio, facendosi credere un antico dipinto. Quale fievole gioia ripone questo piccolo scorcio nel mio cuore malinconico, che tanto si strugge al calore d’un ricordo da sembrare quella piccola lucertola, in estasi al calore d’un timido raggio. Un profumato respiro e un intenso sospiro hanno fattezze di ringraziamento, a chi non lo so, ma che mia ha concesso, più che la fortuna di vedere un posto del genere, la sensibilità di poterlo apprezzare. Prima di alzarmi e tornare volgo lo sguardo al mio fianco. Nella carrozzina incontro il dolce e acerbo volto dell’ultima mia bimba, nata da solo dieci giorni…..e provo nuovamente le medesime sensazioni. Camòrs, Tornavento lì 16-11-2013

martedì 12 novembre 2013

Law of a Dad mad

1st law: When in your family everybody is fine excepting you, It means you're fine too.

lunedì 4 novembre 2013

The neverending story

There are things that make you feel older than you really are. Yesterday, after 28 years from the first time, I've seen again "the neverending story" movie with my son. Deeply in my heart I want thank the heaven about this experience. At the end I discovered it's really a neverending story.

giovedì 3 ottobre 2013

Casa....


VISITALY  - Parco della Magana – Cassano Magnago – Italy


 … tutto intorno a me risulta familiare, nemmeno la spessa coltre riesce a mutare quei profili velati. Forme care all’immota memoria, impresse nell’essere come indelebili orme, ornamento dell’anima. Un soffio gelido spinge sul volto cristalli di ghiaccio, brillano, mulinando al vento come sorrisi d’amici. Qui trovo pace, qui sono a casa… ... all around me appears familiar, neither a thick white layer can mutate those veiled profiles. Friendly forms from frozen memory, layed indelible footprints, as ornament of the soul. An icy wind pushes on my face, ice crystals, shining, dancing in the wind as smiles of friends. Here I find peace, here I am at home ...

sabato 28 settembre 2013

La stagione entrante (The coming season)


   … giunse ansimante e turbato, avvolto da sapida disperazione, giunta improvvisa, al pari d’un temporale estivo. La stagione però, non era più quella e tutto intorno a lui lo stava dimostrando da tempo. In particolar modo la natura, agghindata a festa di colori vivaci e profondi, ammaliante fanciulla nel pieno della maturità. Lui però, non aveva mai colto i segnali del mutamento, era troppo impegnato, troppo concentrato. Aveva un compito, un solenne dovere, un personale auto inflitto precetto, occuparsi della sua famiglia e del loro benessere. L’errore, capì solo in quel momento giungendo alla soglia d’un abdicante sole cremisi, era stato quello di estraniarsi dal mondo, di isolarsi nella sua personale battaglia, di violare la propria umana natura per un valore che superficialmente riteneva superiore. Era giunto addirittura a bramare lo scorrere del tempo, per cogliere frutti e accumulare auree messi. Fu proprio questa crescente sensazione d’angoscia, di mal interpretazione ad accoglierlo nel teatrale tramonto, fregio prezioso nei suoi occhi increduli e umidi. Laggiù, immersa nei primi lembi d’una setosa oscurità, cominciò a risplendere la prima stella della sera, la spietata e brillante consapevolezza. Rimase immobile, imitando le fattezze dei tronchi che erano a circondarlo, piegati a contorte nodature di sofferenza. Avvolto da violenti colori sfumati, che parevano evasi da tele fiamminghe, riconobbe il suo sbaglio.
    Capì d’aver sempre lottato per un futuro inesistente, per quella finta immagine di promessa sicurezza, d’una falsa quiete, cantata da moderne sirene, malvagie e mendaci. Eppure era così semplice, pensò, era così evidente. Era il puro dualismo universale a palesargli ora lo spreco: ogni giorno in più è un giorno in meno. Ogni persona conosce il suo destino, dal primo istante di vita, eppure ogni mente è così stolta da illudersi di avere infinito tempo a disposizione. Infame inganno forse, figlio di vigliaccheria, subdolamente giocato da un inconscio pavido nel terrore della morte. Uno sforzo, un eccesso, per trovarsi poi a riscuotere una questua di vento con retino da farfalle. Che spreco, che sciocco.
    Si lasciò cadere sulla panca di legno alle sue spalle, rimanendo a fissare il meraviglioso gioco di nubi arroventate scomparire nella crescente oscurità; basta correre, basta ignorare. La stagione entrante era l’autunno consolatore e riflettendo si convinse che non tutto andava conquistato, ma che invece avrebbe dovuto spendere del tempo a scovare i regali della vita; che sono molti e a dispetto dell’infinito valore, non hanno un prezzo. Comprese, nella brezza della sera, che da li a poco anche quella stagione meravigliosa avrebbe lasciato il campo ad altro scenario, brillante di cristalli. Socchiuse gli occhi e pensò che in fondo la vita andrebbe vissuta di più nel presente, perché in fondo, ha la stessa durata di una giornata invernale, dove il buio arriva presto.

Camòrs 

Soonest english version 

mercoledì 25 settembre 2013

Il treno nella notte, pensieri di un padre ansioso (Train in the night, thoughts of an anxious father).


Il treno nella notte

Agitata notte estiva,
lenta, sospirata ricerca d'un sonno ristoratore,
che da tempo immemore non concede più cordiale visita.
Pensieri irrequieti volteggiano come polvere,
nella penombra della stanza,
scansando fili di luna, onirici tentacoli.
Il ricordo volge al giorno
al logico, al quotidiano
e impulsiva rabbia sale dentro,
divampa d'intelletto pira:
"Si fossi foco, brucerei lo monno
si fossi acqua, l'annegherei".
Il rumore di un treno scorre in lontananza,
memorie d'un tempo passato,
di viaggi notturni alla ricerca dei sogni.
Un cigolio arriva dalla stanza a fianco,
due fanciulli illudono il futuro
d'ingenua spensieratezza.
Capisco che quel treno non è più per me,
il mio posto è qui, immoto,
presente faro nella burrasca,
a salvaguardia dei binari
che conducono all'ignoto.
Resistere e insistere quindi,
istintivo sopravvivere.
Mi rassegno a ciò che pur aspra,
è mera evidenza.
Non per rinuncia, ma assennata responsabilità.
Socchiudo gli occhi e ascolto il silenzio senza tempo,
nervose umide veglie,
pregne del passato.
Zavorra irreversibile al rapido incedere,
mi rilasso e torno a non dormire.


Camòrs


martedì 17 settembre 2013

The Cob


Italy needs 4mld of euro in order to cover missing entry of IVA - IMU - and "Cassaintegrazione in deroga" but it doesn't have them.
Europe says  that Italy still has problem to remain under the roof of 3% of PIL.
Since January 2013 Italy gave to various funds under the MES, around 51mld of euro.
With that money Europe buys BOT of states (or banks) in difficulties where the states (people) will pay an interest.  
Simply: I ask you 5 euro and you give me. Then I give you, on loan 3 euro, but I want 0.5 of interest on what before was already your.
Excuse me, I'm very sorry, but the name of our land is no longer Italy or Europe.  
What is it?
People are like a cob,  slowly have been removing the corn from it and then will throw away the core into the fire.


martedì 10 settembre 2013

A bad behaviour


A day, not so far in time, a father realized his son started smoking. He was very worried because He was an ex smoker and He knew very well how much bad is that behaviour. He thought strongly about the way to let him understand that smoking is not a pleasure, it’s an error. He tried explain to him and spent much time and lot of words, but without any result.
   A Saturday night he had an idea. The next morning he called his friend by phone and explain the project. Early in the afternoon, the same day, father’s friend went home. Father and son were gathered around the table drinking coffee and were talking about something about school. Father’s friend sat down and carried out from his bag an hammer while son was watching curiously. Father was observing the table and suddenly said to his friend, “Could I have one, please”, “Oh certainly, my friend” answered the guest and took the hammer. With a quick movement the man hit heavily the father’s hand. The poor father felt a terrible pain into hand and jumped away from chair and table, shouting and crying. When the pain was little bit mitigated, the father picked from his pocket five euro and gave them to friend. The man with the hammer took the coins and drunk his cup of coffee, then He left the home in silence. The son remained without words.
   As soon as the guest was out home, son asked to his father “Why...? Why He...? Why do you pay...? Why do…?” He didn’t know what to ask to father and at the end he said “Why dad….why, has been so stupid!”. The father, which was silently listening that gabble like a beans pot, smiled and said “Why? I did it in order to show you a very stupid behaviour. I tried to explain you, but I know an example is better than thousands of words, so here it is!
   I spent money to obtain only pain and it appeared stupid to your sight. Now I ask you, why are you doing the same thing daily, buying and smoking cigarettes? Is not the same thing? Think about it each time you want it one. I know it maybe won’t enough to stop you smoking but if your thinking is going to smoking less, I have already won. Son didn’t say anything else and since that day He stopped smoking.
   And you ….what do you think about yourself… what about your behaviour?  

Camòrs              
                                 Don’t be stupid!!!


lunedì 9 settembre 2013

La condanna per chi non ricorda gli errori del passato è quella di commetterli di nuovo.



La situazione critica di questi giorni, guerre volute solo dai governi e assolutamente non dai popoli, armi chimiche utilizzate da chissà quale mano al fine di creare guerra civile e (forse) mondiale, é a dir poco angosciante. Eppure è una storia che conosco, di cui avevo già scritto tempo fa. Chi c’è dietro, chi  trae vantaggio dalla creazione del panico e dal dissesto globale, chi sguazza nella palude della confusione mediatica. Qui sotto trovate alcuni passaggi del libro “L’ombra dei Re”, non posso svelare il finale, ma sappiate che in ogni caso, un piatto come questo, non ha mai un buon sapore.

… Quello che avevo letto poteva aprire molteplici sviluppi sui metodi di occultazione che erano già in uso. Dai documenti che mi erano stati fatti leggere, avevo intuito che il Concilio stava già utilizzando un metodo di creazione del nemico, basandosi sul comportamento dualistico della mente umana. Il senso innato della mente di dividere le cose tra bene e male era stato studiato e in un certo senso deviato da quella ancestrale concezione, ovvero, se la mente si aspetta un’identità per il bene e una per il male, bisogna crearle in maniera da divenire una terza identità, non pianificabile. Questa creazione del nemico, di un nemico fittizio, era già avvenuta, erano già stati raccolti gli uomini con caratteristiche differenti in gruppi distinti. Per ognuno di questi gruppi l’altro rappresentava il concetto del male e focalizzava ogni aspetto ostile verso di quello e quello soltanto. Il Concilio si era tenuto estraneo a questa logica, era la terza identità, indefinibile. L’ipotesi di esternare alle masse l’esistenza del Concilio stesso e di renderlo un argomento di dominio pubblico, avrebbe da un lato trovato alcuni focolai di dissenso, ma dall’altro lato si sarebbe schermato dello scudo di scetticismo che la moltitudine avrebbe provato. Il segreto sarebbe stato liberare le informazioni reali insieme ad altre del tutto irreali, questo avrebbe comportato una situazione di realtà distorta, di cui nessuno avrebbe potuto provarne la veridicità …
… Ecco il più infallibile dei sistemi di difesa, vestirsi d’abito paradosso: tutti saprebbero che il Concilio esiste, ma nessuno crederebbe alla sua reale esistenza…
… Innescato questo meccanismo d’induzione al pensiero scettico, anche se qualcuno procurasse delle prove autentiche, non verrebbe creduto comunque…

La verità non deve esistere per forza, ma è sufficiente convincere la maggior parte delle persone che le cose siano così, la rimanenza seguirà la massa per conformismo.


Passaggi tratti da “ L’ombra dei Re” di Camòrs, ed. Arpeggio Libero 2012

venerdì 6 settembre 2013

Muddy shore

VISITALY - Castel Toblino - Trentino


Muddy shore

Welcome to your contemporary shore
native of hidden place of emerald.
With feet immersed into mud
left by the water of past,
taking a careful look far away,
toward a secret future.
Where mysterious appearances
are revealed,
doling out,
by dancing fog.
It's the God will, each God.
We are condemned
to know the own beginning,
looking for avoid
the day without a tomorrow.
This is our chain,
this is the life.

Camòrs



giovedì 5 settembre 2013

Gocce d'anima

Drops of soul
Portrait from Riva del Garda
Scorge l'occhio luoghi di non plausibile beltà, eretici all'umano intelletto, eppur fioriscono alla vista, inaspettati, ameni. Specchi vibranti, da mille sfumature screziati, ignari riflettono il vagheggio de' lor frati nembi. Sfiorano in un bacio eburnee e danzanti velature di nebbia, celando i vermigli imbarazzi d'infiniti tramonti. Anelanti attendono stelle, incastonati diamanti d'un manto di voluttuosa complicità; ove più che spicchi di luna s'immerge l'amore. Teatro in barocca fattezza, dalla ripa m'aggrada lo spirito, incornicia le anse con foglie, di variegate tinte ed essenze. Tenui, silenti profili, sfilano in trame di seta increspate, dondolano al pari di giunchi al vento, anime o derive, in balìa a languidi flutti. Affondano invisibili, similari a pioggia nell'acque tue scure, pure gocce d'anima e la mente mia supera lo sguardo, bramando peasaggi candidi e lontani. M'allieto in onirici meandri, consumanti terra e ragione, dove il corpo cerca risposo, dove il ricordo raggiunge la quiete. Non posso cedere a sì subdole delizie e sforzo il passo al futuro, ché necessito d'orizzonti aguzzi, possibilmente innevati.
Camòrs
Portrait from the Garda lake, ancient name Benaco
Words&photos by Camòrs

lunedì 2 settembre 2013

Portrait of ancient Trentino

VISITALY - RANGO, mt.850 Bleggio Superiore (TN) Italy

Put a little bit aside, in Giudicarie valley, about forty km away from Trento, Rango with its old houses, lined one next to the other, and connected by porches and halls, seems to be a fortified place. But in reality, the village, that is taking back its new life, thanks to devotion of his inhabitants and local administration, represents an unique example of rural architecture of the mountains that is not often found in Trento, either because of its compactness of urban structure, or because of the characteristics of its porches that once, used to give shelter to men, animals and goods. Rango, before it disappeared into oblivion, was important point of passage on the road that led from Giudicarie valleys and Val Rendena to Garda and Venice, the whole “Pianura padana” area. Everything here had to guarantee survival during long winters: passengers and merchants found here refreshments in a nearby inn, while the inhabitants, could find refuge from bad weather, thanks to a system of covered connected passages- halls, porches and inner yards – that today are happily used for Christmas markets. Here, once upon a time, under these “vòlti”, town life took place, people chatted and told stories, habits that during long winters used to be moved to the stables. What surprises here, in this architecture of Giudicarie valleys that has remained unmodified since the 18th century, is its functionality. Houses, stableand very big, housed under the same roof more than one family.



They were made of stones, wood and straw: the base of stone, the structure above of wood, and as it can be seen in old photography, the straw roof. Still today, big portals and lodges, and large racks to dry products, testify the constructive wisdom of the past. A renaissance heritage is also a gracious mullioned window , above the hall that leads to the village, while the broadening of the Chiesa dell’Annunciazione church was carried out in the 18th century. Another characteristic of Rango and Giudicarie valleys, are the granite bridges (some examples still remain) that allowed farmers to arrive at their farmyards with their horse-car full of products from the country. Typical for this area are also “filagne” (granite slabs fixed vertically in order to form small walls), that here still limit, together with simple walls without malt, old road , shadowed by old walnut trees, that connects Val Marcia to Durone pass. It is also worth seeing, in this territory, the village of Balbido with its mural paintings on facades. It is located in the beginning of Val Marcia, for centuries considered the place of witches; houses in Marazzone and Larido with their typical roofs are also interesting. Chiesa di Santa Croce church located in the village of the same name, headquarters of the old parish of Bleggio, is a rare example of, at least for the Trentino area, a sacred building in renaissance style. Inside the church, you can admire the Chapel of Santa Croce (1640) with its splendid gilded, wooden, baroque altar that since 1624 has preserved the thaumaturgic Cross, a luxurious major altar made of marble (1740), Romanesque crypt with fragments of sculptures from the 8th and 9th century and some traces of frescoes from 1303.



What do you awaiting for...........enjoy it!



sabato 31 agosto 2013

Scaglie di memoria


La sveglia avrebbe dovuto suonare alle cinque, alle quattro e cinquantanove prendo l’orologio e la tolgo. E’ sempre così, ogni volta che devo andare in montagna l’entusiasmo è talmente tanto da farmi anticipare la sveglia. Forse è proprio questa una delle ragioni che me la fanno amare tanto, è una delle pochissime cose, se non l’unica, che mi fa riassaporare in ogni occasione l’euforia di un fanciullo. Mi alzo dal letto cercando di essere il più delicato possibile e mi reco furtivamente in cucina per un rapido caffè. Lancio un’occhiata fuori dal vetro, la giornata è meravigliosa. Al piano di sotto sento che anche mio cognato, Fabiano, è già pronto ed infatti di lì a qualche istante appare in cortile mandandomi un cenno d’intesa, è ora di andare. Poco dopo l’auto scorre tranquilla le curve che dal Bleggio Superiore scendono al paese di Ponte Arche, per poi risalire d’impeto verso Stenico. Passiamo accanto al Castello ed alla magnifica cascata dell’acqua bianca, che gorgogliando saluta il nuovo giorno, ornando di spumeggiante organza le pareti di roccia. La strada prosegue serpeggiante lungo i costoni rocciosi, sempre asfaltata e comoda fino al bivio d’entrata alla Val d’Algone. Da lì, la strada si stringe un poco e ci rendiamo conto che è una fortuna che sia mattina presto e non ci siano auto che scendano. Arriviamo finalmente alla fatidica sbarra, dove si paga l’ingresso per il restante pezzo di strada, che ironia della sorte, a pagamento, è il tratto tutto  sterrato. Sono circa otto chilometri di curve e dossi sassosi che si eviterebbero volentieri, ma quella mezz’ora di sballottamenti permette di giungere alla malga Movlina, facendoci prendere quota e risparmiandoci almeno due ore di tempo. Raggiungiamo finalmente il posteggio nei pressi della malga. Scendo dall’auto e subito l’occhio viene catturato dalla corona di cime che svetta davanti a noi, ornate da un’aurea di luce che lentamente solleva il proprio calore alle loro spalle. Mi cambio scarpe, infilo lo zaino, prendo un profondo respiro; sono a casa. 
Bando ai convenevoli, è ora di muovere il passo, e via che si va. Io, carico come una molla e con il sorriso ebete che mi caratterizza quando cammino in montagna e mio cognato, con i suoi bastoncini da trekker professionista. Dalla Movlina scendiamo fino al bivio dove si incrociano due sentieri il n° 341, che si inerpica su per la val di Sacc e l’altro, il più frequentato, che sale per la val di Nardis, ma che noi useremo per la discesa. Il sentiero intrapreso serpeggia immediatamente tra magnifici larici, rasenta rododendri fioriti e un pungente profumo di resina e terra di bosco, inebria il mio corpo. Quando pensi che nulla possa essere migliore di così, la montagna continua a stupirti, infatti, appena volgo lo sguardo alla mia destra, ecco comparire in tutto il suo splendore il Carè Alto. Intrigante e gelato gendarme della val Rendena, dal profilo inconfondibile e dal passato insanguinato. Che meraviglia, prendo un altro profondo respiro e riparto, mentre i profumi del sottobosco mi penetrano le narici e incuranti della natura, evitano di rintanarsi nei polmoni per andare diritti a posarsi sulle pareti vibranti del cuore. Il percorso spiana leggermente quando arriviamo alla Baita dei cacciatori. Da lì, un altro bivio ci attende e noi tenendo la nostra sinistra ci incamminiamo verso un primo divertente saltino roccioso, che ci conduce al primo tratto di ghiaione. Questo è il pezzo, tra virgolette, più bruttino da camminare. La via percorre una salita abbastanza ripida, ma che è realmente formata da ghiaia, per cui facciamo veramente fatica a stare in piedi. Intorno a noi troneggia un anfiteatro di pareti da togliere il fiato, dalla Pala dei Mughi, alla nostra sinistra, fino alla Cima dei Camosci davanti a noi. A proposito di ungolati, quasi sapessero del mio soprannome, Camòrs appunto, un intero branco di una trentina di camosci, di tutte le taglie, scende correndo verso il ghiaione. Balzellano mostrandoci infinita leggerezza e leggiadria, quasi a sottolineare chi è il padrone di casa e chi è l’ospite. Li guardo ammaliato, mentre danzano tra gradini di croda e cengette innevate e quasi mi viene da sussurrare: Tranquilli, sappiamo benissimo di essere noi gli ospiti quassù. Giunti alla sommità della pietraia ci aspetta un balzello di roccia di una quindicina di metri, attrezzato addirittura con dei cavi da ferrata, indubbiamente utilissimi in caso di ghiaccio, ma che oggi, evito con accuratezza e scimmiottando grossolanamente la bravura degli acrobati quadrupedi, veduti poco prima, mi diverto ad emularne i movimenti. Qualche esemplare, immobile poco sopra, mi guarda incuriosito e … chissà a cosa starà pensando. Fortuna mia che non abbiano la parola. Superato il tratto roccioso, siamo costretti a procedere per un ulteriore tratto ghiaioso, anche se per onor di cronaca, meno franoso del precedente. Saliamo spediti verso il Passo Dodici Apostoli, con l’omonima cima alla sua sinistra e una strana formazione rocciosa alla medesima altezza del passo. La roccia è scavata da eventi naturali in una maniera da sembrare la dentatura di un francobollo, oppure vista da più lontano quelle sagome possono sembrare dei fraticelli in fila indiana, che siano questi i Dodici Apostoli? Mi volto, mio cognato sta salendo molto bene, non ha problemi ne di gamba ne di fiato, molto bene.
   Ultimo tratto roccioso di pochi metri ed eccoci al Passo. Appena sbucati ci troviamo di fronte ad un altro immenso anfiteatro naturale formato da cime e pareti verticali, ancora abbastanza innevate benché sia Agosto. Non ricordo tutti i nomi di quelle cime, ma sicuramente quella davanti a me è la cima d’Agola, con al suo fianco la cima d’Agola bassa, che sale sinuosa e ondeggiante come se invece di roccia si trattasse d’acqua; incurante o indifferente del fatto che il mare da qui si è ritirato milioni di anni fa.
   Scendiamo verso il rifugio facendo dello slalom tra saltelli di dolomia e ometti segnavia. In prossimità del rifugio mi stacco un attimo da mio cognato, vado a fare visita al memoriale scavato nella roccia della montagna. Una grotta, con l’estremità sulla parete strapiombante, scolpita a forma di croce. Una volta dentro, mi fermo un istante dando le spalle ai monti e con il viso rivolto alle decine di lapidi commemorative. Rivolgo un istintivo e sommesso saluto, a persone che avevano la mia stessa passione, o forse maggiore, tanto che la montagna le ha volute con sé. Una preghiera, sussurrata e vestita d’umana commozione, nel guardare quelle foto negli occhi. Poi ancora, uno sguardo al panorama, che dipinge l’orizzonte fuori da quella stanza di dolomitica memoria e un pensiero, che striscia come una serpe nei meandri della mia mente. Quel posto, è un sacrario dedicato ai caduti di tutte le guerre, ma subito il ricordo corre alla prima guerra e penso a tutti quelli di lingua e nazionalità diversa che sono passati da qui e sono rimasti estasiati fino all’emozione. Mi convinco sempre di più, quindi, che come la maggior parte delle cose al mondo ha una matrice dualistica, anche la differenza tra gli essere umani è semplicemente assimilabile in soli due gruppi. Rabbrividendo al pensiero di generazioni perse per difendere un sasso, seppur meraviglioso, approdo alla conclusione che il mondo sia diviso tra uomini e uomini stupidi; ad ognuno poi, sta la facoltà di interrogarsi sul suo clan d’appartenenza. Devo andare, Fabiano mi attende al rifugio per rifocillarci un poco, prima di scendere e tornare alle nostre amate quotidianità. 
Due risate e una fetta di torta, un’occhiata di ammirazione ad una foto di Bruno Detassis, appesa alla parete, e un po’ d’invidia per quella magnifica stufa di maiolica bianca, posata in un angolo, che sicuramente riscalda con cura serate un po’ alcoliche e conversazioni amichevoli.
   Usciamo dal rifugio, siamo praticamente soli all’ingresso di un palcoscenico, dove le meraviglie sono là, sugli spalti e a noi inutili comparse non spetta che ammirare, contemplare silenziosamente l’immota ed effimera bellezza. Osservo rapito quelle verticalità, poi chiudo gli occhi e prendo di nuovo un bel respiro profondo. L’aria è fresca e profuma di polvere di roccia. Mi balenano alla mente le immagini viste al rifugio, Detassis, Agostini e altri pionieri dell’alpinismo. Gente che con scarpe di feltro e una corda di canapa legata alla vita, con qualche chiodo costruito in cantina, salivano e aprivano vie sulle candide pietre di queste roccaforti. Se penso a quali attrezzi vengono utilizzati oggi, oltre allo sguardo al cielo non può che salire una stima infinita nei loro confronti.
   E’ tempo di tornare, a malincuore, ma come mi avevano ricordato i camosci, sono solo un ospite. Per cui è ora di togliere il disturbo, e poi, quei profili e quel luogo, si sono già stampati nella mente più indelebili di qualsiasi foto abbiamo fatto. La discesa la effettuiamo seguendo il sentiero n° 307, che scende alla val di Nardis. La prima parte è molto divertente, su risalti di roccia, poi su un breve ghiaione fino a giungere ad un tratto attrezzato con cavo d’acciaio e poco più sotto, addirittura scalinato con travi di legno. Nello scendere incontriamo parecchie persone che stanno salendo, ci si saluta anche se non ci si conosce. Questa è un’altra consapevolezza che regala la montagna, qui esiste un'unica moneta, la fatica. Ecco quindi che con chiunque si abbia un incontro, si ha già una cosa condivisa, anche se si tratta di uno sconosciuto e questo ci porta tutti allo stesso livello. Chi sceglie la salita, per un certo tempo non ha più ceto sociale o casta. Ognuno è solo con il suo cammino, con il suo animo, ognuno deve pagare un fio con quell’inesauribile conio.       
    Alla fine della discesa più ripida il sentiero si tuffa in un mare di verde ispirazione, iniettando l’estasiato viandante in un bosco di mugo. Un sottile rivolo, di pietrisco bianco, si insinua tra fitte e profumate fronde aghiformi, ornate da piccole pigne di colore brunito, mentre a terra, ad incorniciare il passo, s’adagia del rododendro fiorito. Dall’alto la sagoma del rifugio sembra vigilare sulla valle. Usciti da quel resinoso sogno, la via ritorna in salita, tra larici e abeti, costeggiando dall’alto il lago di val d’Agola. Giungiamo al bivio con il sentiero n° 354, che in una decina di minuti ci riporta alla malga Movlina. Da lì in poi, la strada ritorna uguale a quella dell’andata, quello che muta ogni volta, è lo stato di intenso benessere che impregna il mio animo; assorbito dal terreno, donato forse, da quelle scaglie di memoria.   

Camòrs 

 


martedì 30 luglio 2013

A treasure in my eyes

VISITALY - Isolino Virginia - Biandronno (Varese)


   ...I force the sight,     
looking for details,
yonder in far horizons,
painted by deep color.
I imagine exotic places,
adorned with drapes and perfumes.
Warm air caresses my face,
while the marshy water
become rough by shouting ducks,
envious maybe,
about the white plumage
of haughty swans.
Unthinkable reality,
catch trought from glimpses of country
appearing in the distance,
to be here,
so close to my house.
 
Camòrs

lunedì 22 luglio 2013

The root of rainbow

VISITALY  - Mount of Portofino - Liguria


... and at the end, I found the root of rainbow, but I had always thought it had born by a golden pot instead I discover it comes from the silver water, blue like wonderful eyes and deep like the infinite space.

Camòrs


sabato 13 luglio 2013

Touching the past

VISITALY - ROME



A mind that does not know own past, is a mind in a dungeon of ignorance.
History shouldn't be only studied,
must be lived.

venerdì 12 luglio 2013

Between dreams and remembrances

VISITALY - PASSO DURONE (BLEGGIO SUPERIORE - TN) - TRENTINO

... and suddenly arrives to me, between dream and remembrance, the scent of larch wood. Pungent delights of smell togheter with the sound of the leaves of beech which choirs sang in orchestra with the revelers shouting of children. A clear sky is a frame for rainbows of colour green. ... and I get lost, kidnapped, in the wonder of nature and in the faces of youth, of a nice bud. ... and I lay down on scented grass, soft turf, waiting for the autumn, which sadly, like that little cloud, already is hanging to my tomorrow.

martedì 2 luglio 2013

L'istante nascosto nel ghiaccio

   Per raccontare una storia importante, è la prima cosa che insegnano agli scrittori, bisogna saper scegliere l’inizio giusto. Così è per me ora; per raccontare la storia di una salita, di una fisica e mentale elevazione. Avrei potuto utilizzare come introduzione il teorema sociologico che sostiene che l’uomo moderno ha una percezione cognitiva basata su schemi predefiniti, atti a creare stabilità razionale di base oggettiva … bla, bla, bla, …, ma sarebbe stata troppo seria e noiosa. Allora forse, avrei potuto raccontare che c’erano un Lombardo, un Trentino ed un Veneto… ma così sarebbe sembrata una barzelletta. Ecco allora, decido di partire senza preamboli inutili e parlare di questa salita sul Monte Rosa, effettuata da tre ragazzi che poco hanno in comune, se non, una più o meno recente passione verso le montagne. L’idea di effettuare questa ascensione è nata un anno fa, quando invitai Giuseppe a faticare un po’ con me sulla ferrata dell’Amicizia, sopra Riva del Garda. Ricordo che quando vidi i suoi occhi perdersi nel vuoto sottostante, così come accadde alle frivole parole, volutamente abbandonate nelle acque scure del lago, gli feci una proposta. Perché una volta non vieni trovarmi, che ti accompagno sul Rosa? Nei mesi successivi ognuno di noi tornò ai propri mestieri e alle proprie consuetudini, fino a quando, tre mesi fa circa, mi giunse una mail, era Giuseppe. Mi scrisse: Ste, è ancora valido l’invito per la scalata? (ovviamente dovetti tradurre il dialetto vicentino con l’ausilio di Google). Eccomi qui dunque, in macchina, sulla provinciale che conduce ad Alagna Valsesia, a parlare di toponomastica, a spiegare che il nome del Monte Rosa non deriva dal colore che assume all’alba o al tramonto. Tutte le montagne innevate si colorano d’emozione, alla vista del sole o al suo arrivederci. No, Rosa deriva da un termine del vocabolario latino rosia, modifcato dal patois valdostano in rouja, che significa ghiacciaio. Parola conosciuta anche nei dialetti Walser dei popoli di origine tedesca, che si stabilirono secoli addietro su quegli irti pendii. Quindi il Monte Rosa altro non è, che la montagna ghiacciata, o meglio, la montagna che rimane sempre ghiacciata.


Arriviamo finalmente a destino e sotto una fitta pioggerella ci portiamo alla stazione della funivia. Il primo tronco passa abbastanza inosservato, ma nel secondo e nel terzo, quando il verde dei pini ci abbandona per lasciarci in compagnia di neve e salti di roccia, vedo lo sguardo dei miei due compagni sempre più rapito. La tratta motorizzata ci conduce a punta Indren, a 3260mt. Nevischia, la visibilità è scarsa e fa freddo. Perfetto, pensiamo, il meteo dava schiarite nel pomeriggio e invece nevica. Mi guardo attorno, la traccia è ben visibile, anche se in questo periodo dell’anno non mi era mai capitato di trovare ancora così tanta neve sul ghiacciaio d’Indren. Dopo brevi istanti dedicati alla vestizione, partiamo alla volta del rifugio Mantova, calcando le orme presenti tra neve viscida e rocce umide. Dopo una mezz’ora circa il rifugio è in vista. Il rifugio Mantova a 3498mt è il primo avamposto per i molti sci alpinisti e scalatori, accoglie i viandanti ergendosi su un pianoro alla fine del ghiacciaio Garstelet. Ci fermiamo qualche istante, per godere di alcuni avari scorci di panorama. Mi soffermo più volte a osservare il volto estasiato dei miei amici, nei brevi istanti in cui le nubi, grigie e danzanti, aprono sipari impagabili a dipinti d’autore. Il rifugio Gnifetti, nostra meta intermedia, è a qualche centinaio di metri più sopra, in vista, su una cresta di roccia. Ma è ancora presto, così prima di rintanarci, decido di condurre i ragazzi a una piccola Croce, posta poco sotto il Mantova e da dove si può ammirare, in tutto il suo splendore, l’imponenza e l’asprezza del ghiacciaio del Lys. Giunti alla soglia di quel baratro sassoso, mi allontano qualche metro, per un istante d’intimo ringraziamento personale. Salire questa montagna, è per me, un’esperienza alpinistica ed al contempo spirituale. Ogni volta che ne ho percorso i suoi versanti, è stato come cogliere germogli di lucidità circa la reale natura umana. Assaporare quella familiare sensazione di smarrimento, nel ritrovarsi dinnanzi a spazi e dimensioni così grandiose, da farci ricordare istantaneamente la nostra vera dimensione fisica. Mi accorgo che qualche effetto questo luogo lo sta avendo anche su chi mi accompagna. Accolgo a cuore grato, nuovamente, i loro volti spaesati e ammaliati davanti a quella vista, consapevole come per loro sia la prima volta dal vivo. Momenti di silenzio scendono lievi come il nevischio, dove l’intensità di un solo sguardo, racchiude il potere di mille lingue. Dove le parole di tutte le lingue esistenti, non basterebbero per descrivere anche solo un istante di quei momenti. A malincuore interrompo quel clima mistico e arcano, è giunta l’ora di proseguire per il Gnifetti. Saliamo sul ghiacciaio Garstelet coperto da un velo di neve fresca e raggiungiamo in breve i 3648mt. dell’abbarbicato rifugio.
   La sera trascorre gioviale in compagnia di cortesi sconosciuti e fugaci spiate oltre i vetri appannati, con la speranza nell’animo e l’adrenalina già in corpo. La notte, è risaputo, a queste quote non passa mai. Non perché il tempo rallenti davvero, ma perché è difficile addormentarsi e riposare. Quando, a riprova di ciò, la sveglia mi avverte che è giunta l’ora di muoversi, alle 3.45, l’umana ragione un poco si ribella. Per fortuna a darmi la scossa ci pensa il meteo. Butto un occhio semichiuso fuori dal vetro della cameretta e…vedo le luci di Alagna, il tempo è rasserenato, si vede la luna, sarà una giornata splendida, memorabile. Si svegliano anche gli altri, breve colazione, poi ci prepariamo. Alla fine, alle 4.45, partiamo. Appena fuori il rifugio siamo già comodamente sulla via d’ascesa, ci leghiamo in cordata e via, parte l’avventura verso la punta Gnifetti o Signalkuppe. Le luci dell’alba già s’intravedono oltre la sagoma della piramide Vincent, alla nostra destra, mentre la seraccata del ghiacciaio del Lys ci accompagna per tutta la salita del primo strappo. La fatica ci viene incontro e subito tenta di convincere le nostre povere menti all’abbandono, tessendo lusinghiere lodi sugli infiniti agi presenti giù in valle. Non demordiamo e trovato un ritmo accettabile al cammino guadagniamo quota, seguiti da un lungo serpentone di luci frontali. Quando la pendenza cala un poco, ci fermiamo per una breve sosta. Il vento ora è diventato forte e si fa sentire con irruenza, la sua voce dolente, è di un’insistenza e di una gravità nel suono, da assumere quasi i toni della drammaticità. La luce del sole illumina le vette più alte intorno a noi, tanto da rimanerne abbagliati, più dalla celestiale bellezza che dall’intensità dei raggi. I miei amici sono profondamente sorpresi e stupiti, sperduti in quel nuovo paesaggio, mentre li ragguaglio sui nomi dei picchi che ci circondano. Il Liskamm alla nostra sinistra. La Piramide Vincent ed il Balmenhorn, con la famosa statua del Cristo delle vette, a destra. Ancora, il fascino delle ombre dei seracchi e le perfide striature della crepacciata del Lys. Poi la vista sconfina all’orizzonte, dove subito si coglie l’imponenza dell’altro gigante, il Bianco. Alle nostre spalle il Gran Paradiso, la Grivola, l’Emilius e molte altre cime Valdostane, silenziose, riscaldano al tiepido sole le loro pietre millenarie. Mi sento un po’ in colpa nell’interrompere la contemplazione, ma è ora di ripartire. La traccia rincara la pendenza, ed anche la quota comincia a giocare la sua partita. Ormai abbiamo raggiunto i 4000 metri e l’aria diventa della stessa densità degli euro nelle tasche degli italiani. Bisogna salire, non farsi abbattere dalla stanchezza, non cedere alle umane paure, alla ricerca del comodo, del confortevole. Amo il Rosa e l’esperienza di montagna in generale, perché ha la capacità di farti provare le emozioni di una vita intera concentrate in poche ore. Perché, senza false promesse, dopo un’immensa fatica, può regalarti la felicità della cima o la rabbiosa disperazione della rinuncia forzata. Senza cinismo, perché Lei è sempre lì, senza pregiudizio, regalando a chi sa individuare il proprio limite, molteplici opportunità di riprova.


Il respiro diventa molto affannoso mentre raggiungiamo il colle del Lys. Siamo a quasi 4300mt. quando si para davanti ai nostri occhi, la montagna per eccellenza, quella che è forse la rappresentazione della montagna nell’immaginario collettivo: il Cervino. Davanti a noi la meravigliosa e più elevata Punta Dufour ed alla nostra sinistra oltre la Zumstein, ci scruta la Capanna Regina Margherita. Prima di giungere alla meta, ci attende però ancora un lungo traverso di falsopiano e l’ultimo salto di quota. Una nuova insidia, però, attende il nostro passo, la consistenza della neve. Farinosa e marcia, non tiene il nostro peso. Ideale per gli sci alpinisti, ma non per chi ha i ramponi ai piedi. Quel traverso mi fiacca, ad ogni passo i miei scarponi sprofondano di una ventina di centimetri e questo aggiunge sforzo allo sforzo. “Tèn dur, tèn dur”mi ripeto, come un mantra nella mia mente, mentre finito il pianoro risaliamo l’ultimo pendio. Quasi giunti alla sommità, appena sotto l’ultimissimo strappo ghiacciato, sento la corda tirare. Mi volto, Giuseppe è a terra. Ivan, suo cugino e terzo della cordata e lì vicino. La quota, la stanchezza, il freddo e le fortissime folate di vento che gettano nuvole di neve addosso, hanno messo al tappeto Giuseppe. Mi avvicino anch’io. Cerchiamo di consolarlo un po’, di incoraggiarlo, ma appare davvero stremato. La posizione è molta esposta alle raffiche gelate e comincio a temere che si raffreddi troppo. Si alza, ma si accascia nuovamente al suolo, ed ancora, per una terza volta. Mangia un po’ di miele e beve del tè caldo. Forse era lì la chiave, disidratazione. Lentamente si rialza ancora e mi appare rincuorato. I primi passi di una ripartenza sono sempre i più difficili, soprattutto a livello mentale, così decido di utilizzare il metodo del conteggio. Camminiamo per brevi tratti di venti passi, contandoli, poi ci fermiamo per rifiatare. Primi venti, secondi venti, terzi vent… imbroglio, ne faccio di più. Giuseppe mi segue, è ripartito. Giungiamo così alla base dell’ultimo salto, una sessantina di metri molto ripidi, scavati nella neve dura. Lo sfinimento sembra essersi seduto sopra lo zaino sulle mie spalle, ma chiudo gli occhi e in piena trance agonistica risalgo quel crinale gelido. Arrivo davanti alla sagoma scura della Capanna, dopo pochi secondi mi raggiungono Giuseppe ed Ivan. La stanchezza è tanta, ma una luce nuova e incontenibile sgorga dai loro occhi, come un ruscelletto al disgelo. Siamo in cima, siamo a 4552mt sulla Punta Gnifetti o Signalkuppe. Lo spettacolo che ci circonda è un corollario di aggettivi superlativi che mai potrebbero rendere giustizia a ciò che si prova, in realtà, vedendolo di persona. Prima di entrare al Margherita per rifocillarci, sostiamo un momento ancora in balia del vento, dispiace abbandonare anzitempo quel sapore di gioia. Una volta entrati al rifugio, l’ascesa sarà finita, sarà già l’inizio della discesa, del ritorno. Non ancora, vogliamo prolungare l’Istante. La mente in quel momento è libera, nel tempo di un respiro. In quella frazione impercettibile, tutto viene annullato, cancellato. Non esiste futuro, non vi è passato. Termino volontariamente questo racconto qui, nell’attimo più intenso, in quello più difficilmente spiegabile e soprattutto, parlando di ciò che è impossibile portare via. Il ricordo di quella scheggia di vita rimarrà lassù, insieme a quelle di tutte le persone che, ignare, hanno liberato la propria anima al cielo. Un frammento infinitamente piccolo ma capace di influenzare tutta un’esistenza. Un personale istante, ora, nascosto nel ghiaccio.


Stefano Camòrs Guarda