Imparò a lavorare, ma non a vivere.
Quando alzò lo sguardo, fu solo.
Il dolore che provò era la vita, tentava di tornargli a scorrere insieme al sangue, nelle vene.
Camòrs
Poet & Writer
Imparò a lavorare, ma non a vivere.
Quando alzò lo sguardo, fu solo.
Il dolore che provò era la vita, tentava di tornargli a scorrere insieme al sangue, nelle vene.
Camòrs
La mia vita è un libro, che già
vanta di discrete pagine. Eppure,
il tarlo della carta mi logora
giacchè non un granché, in esse,
v'è scritto. Di giorni tutti uguali
v'annoierò, di meste euforie, d'inutili
certezze vi rendo testimoni. Pavide
scelte, forse, di certo pigre. Servili
le trame, ingabbiate da metriche stantie:
obbedienza, responsabilità, rispetto.
Autore d'un romanzo non scritto,
di mancate poesie, di rime incompiute
nell'attesa illusoria di essere libero.
Nel depositarsi della polvere, tra testi
plagiati e incoerenti, comprendo
il dolore, la delusione nell'intuire
un finale banale. La mia vita
è un libro di discreta fattura,
dal contenuto superfluo.
Camòrs
#acquarelliinpoesia
Questo acquarello ha ispirato una poesia, un racconto, una favola/fiaba. Qui potete leggere la poesia.
Acquarello di Ruben Gagliardini
Poesia di Stefano Camòrs Guarda
Il tempo fermo
Rasento le ombre, sconfitto
avanzo, nella città su cui astri
diffondono oscurità.
Corpi stanchi, privi di volto,
scevri d'identità vagano
confusi all'angoscia celata
in anfratti angusti, soffocanti.
Abbasso lo sguardo, nel pianto
annego sfumature, un chiaroscuro
che strazia il cuore. Tranelli
s'aggrappano al cemento:
ragnatele catturano la speranza.
Mi trascino nel mondo asettico,
gli alti palazzi m'ignorano; aguzzi
come siringhe, slanciate lancette
d'una vita, d'un orologio,
d'un tempo fermo.
Camòrs
Busto Arsizio,
Non sono un "Bustocco", perché qualcuno mi ha detto che per essere bustocchi devi andare indietro di almeno tre generazioni e io non sono nemmeno alla prima, però se dico bustese, la maggior parte delle persone mi chiede se sono della vicina Busto Garolfo. Allora cosa sono? Presto detto...sono un Cassanese che da ormai quindici anni vive a Busto e con questo mio spirito scevro di pregiudizi, o meglio, campanilismi di quartiere, osservo la città che mi ospita e cerco di assaporarne tutti i suoi spunti. Quello che mi piace condividere è questo mio sguardo neofita da sedentario turista, perché vi assicuro che Busto Arsizio è molto bella. Dovessi esprimermi attraverso una metafora, direi che Busti Grandi è come un magnifico mosaico, solo che, a volte, ha le tessere troppo distanziate e si fatica a coglierne velocemente l'armonia. Passo passo, però, un suono di fondo emerge e diventa sinfonia, sinfonia d'una città appunto. Così anch'io nella lentezza che rintuzza le braci della curiosità, la esploro e vedo, e ascolto.....
foto dal web
Piazza San Giovanni - la partenza
Una strana sensazione mi prenda la mente, l’avvolge e la
stringe. Non allenta la presa e continua a ronzare in un eco diffuso e confuso,
il rumore di un galoppo lontano che tende ad avvicinarsi. Un suono che diventa
musica, sottofondo. Mi pare di conoscere la melodia, ma non ricordo il
compositore, o meglio, l’ho lì, sulla punta della lingua. Mi circonda una
piazza di varie architetture contaminata; convivono in armonie a volte forzate
a volte lineari. Ne esce il carattere, lo stile e del tempo, l’interpretazione.
Un brusio diffuso diventa la voce di un coro, la quale accompagna il solista,
che nella mia testa ha lanciato l’assolo. Mi ha sorpreso qui, in questo teatro
improvvisato sotto la volta pensata da Dio per la perfezione acustica. Senza
che me lo aspettassi i luoghi e il tempo, sono stati tramutati in strumenti
d’orchestra, la mia mente in spartito. Le mie gambe non si arrestano e con
movimenti lenti e pensati mi conducono sulle note di questa città, di questo
solfeggio di vita. Le anse della piazza caratterizzano il motivo, vibrazioni,
fiati, percussioni e voce. Un groviglio, apparentemente indigeribile ma unico.
Ogni facciata è pronta ad essere strumento del suo tempo, dai clavicembali
rinascimentali alle tastiere elettriche di fine novecento e si sposa nello
stupore generale, il graffio di chitarra elettrica con l’eleganza soffusa di un
contrabbasso jazz, nella benedizione dei rintocchi di campane a festa. Le vie laterali sono pause, dalle quali è
possibile uscire, dirottare la musica altrove, pause o forse archetti per
collegare note distinte ma salde nel proprio carattere. Un impulso mi assale in
maniera smodata, un’esplosione nel petto e poi il battito del cuore in
crescendo è presagio d’un avvento canoro, sul palco d’opera. Non sono un
musicista e nemmeno un cantante, ma davvero fatico a soffocare l’istinto che mi
vorrebbe irruente tenore nel lanciare al cielo i versi di una poesia, o forse
di una canzone.
È per
me un fruscio
il tempo che scorre, vibra
la corda del tempo
e suona la sua melodia.
Le voci del coro si alternano,
entrano i contralti, perduto
il basso. Il timbro mi è nel cuore,
lo sguardo serrato dal dolore,
custodito nel ricordo, riappare.
Riaffiora una luce già vista,
conosciuta e amata. Riflessi,
lineamenti di un volto caro,
come acqua nel deserto.
Nonno, nipote, figlio, padre e
le vibrazioni d'una carezza
amplificano l'affetto, nell'armonica
cassa, eco delle generazioni.
Stefano Camòrs Guarda
Sinfonia d'una città - CONTINUA.......
Ho sempre avuto a cuore uno stile educativo piuttosto severo, oserei dire marziale. Non per velleità di divisa o grado, ma per pragmaticità mentale e adeguatezza nel contesto sociale. Ricordo con nostalgia l'insegnamento forte di condivisione, schiettezza e distacco dall'amico, condizione selezionante l'affetto e l'amicizia sincera e duratura; così come la profonda vicinanza e rispetto per il proprio nemico, perchè in virtù delle sue salde convinzione, robuste pari alle mie, egli mi s'è contrapposto. In nulla di ciò è di casa la violenza. La passione, a volte la rabbia, ma la disciplina inculcataci pilota inevitabilmente l'istinto nei cieli della ragione. Da esse usciva l'azione, il fare e anche lo sbagliare, perbacco!
Riconoscere l'errore, ammettere la propria responsabiltà, senza vergogna, senza pudore o guadagno, lavorare per ambire un rimedio.
Mi dolgo oggi, poiché fatico a ricercare sittanto valore; se non tra le pagine dei libri ingialliti. Siamo i veri falliti, erranti cercatori di una realtà estinta.
Ho terrore delle persone sottomesse che cercano una vana elusione alla schiavitù della frustrazione intorpidendo la mente e sbiadendo la vita in futili, istantanee illusioni.
Essi sono già morti, plagiati nell'oblio più cupo del nuovo dogma. Cadaveri contro i quali non si può vincere una guerra, perché loro non la combatteranno, mendicheranno ancor prima del primo dissidio. Ed è nota la fine che fanno i parassiti su un animale ormai già putrescente.
Camòrs
27/08/2020