…è veramente difficile da spiegare, perché è come se fosse un attacco batterico, dove diventi vittima solo se hai un sistema immunitario indebolito. Anche in questo caso è così, però il sistema immunitario è lo stampo culturale in cui siamo
cresciuti. L’educazione che abbiamo ricevuto fin da quando eravamo piccoli. In ogni ambito, familiare o scolastico, laico o religioso quale fosse. Mi trovo a dubitare di ogni cosa, perché intorno a me vedo uno stuolo di gente buona, soddisfatta, compiaciuta
e integrata, ma che al più piccolo cedimento crolla. Ovviamente nel disinteresse collettivo, perché finché sei omologato ad uno standard puoi permetterti di essere quello che sei, ma la debolezza, quella no, non mostrarla, è contagiosa. Debolezza è solitudine,
retaggio del nostro passato in cui la razza (sia uomini che donne) dovevano essere sorretti dal super-io. Ma se quella era la dottrina con la quale si faceva colazione, pasto e cena, dov’è finita? Forse una generazione nata a stomaco pieno, non ha più fame.
Dov’è finita quella forza di sopportazione, la capacità di incassare sonori schiaffoni dal destino? Cadere aiuta a prendere le misure dal terreno la prima volta, la seconda metto le mani prima di picchiare la faccia e forse la terza sbando ma mantengo l’equilibrio.
Questa capacità va allenata affrontando in questa maniera le cose a partire da quelle piccole. Certo bisogna anche trasferire i suggerimenti, ma l’esperienza si acquisisce auto-testandosi e non nascondendosi o legandosi al burattinaio che muove le azioni.
Davanti a questo panorama, guardando le città dall’alto mia chiedo quanti percepiscano questa sensazione di inadeguatezza, perché privi della libertà. Libertà di provare, di sbagliare, di cadere. Libertà di fare fatica, di sporcarsi, ma anche il gusto di rialzarsi.
La sicurezza ha inchiodato e ingolosito per anni le generazioni, che però arrivavano da una condizione di miseria o quasi. Era abbastanza facile prevedere che andasse così. Questo processo “evolutivo” però non può essere visto come una curva che sale all’infinito,
anche perché le ultime generazioni non provengono più da uno stato di miseria. Nascendo più o meno nel benessere, esso stesso diventa metabolizzato. Si innesca il principio dell’assuefazione. Lo si da per scontato. Il benessere “moderno”, molto spesso sinonimo
di superfluo, viene considerato un diritto acquisito. Il problema è che ogni diritto in più va a scapito di qualcun altro, sia che provenga da paesi del terzo mondo o che sia di una generazione prossima ma non ancora nata. Decade lo spirito e la forza della
sopravvivenza, quella vera, fatta di idee e tentativi, di sostanza; prevaricata dalla voglia di apparire, di mostrare però solo le meravigliose decorazioni di un involucro dal contenuto inesistente. Annegare nella disperazione, nell’ansia, riconoscendosi come
abitanti di questa cerchia o almeno parzialmente partecipi. Non è un pensiero triste, sconsolato, ma tutt’altro è una deflagrazione. Una scheggia di consapevolezza, di lucidità, quando irrompe alla vista la bellezza gratuita della natura che rinfaccia la completa
inutilità dell’umanità sulla terra. Quando è il silenzio a riempire la vastità degli spazi e lascia capire a quei pochi neuroni illesi, quanto la nostra indole, il nostro istinto, soffocato da mille sciocchezze, sapesse che la direzione era completamente sbagliata.
Davanti allo stupore inaspettato che un paesaggio può generare, mi angoscia la consapevolezza di tutto ciò che è sempre stato gratuito e da noi ignorato. Quanto peso ho dato ad una carezza ricevuta, quale valore ho compreso di un sorriso o di una chiacchierata
fatta tra amici. La risposta, almeno nel mio caso è lapidaria: poca. C’è l’esasperazione ad entra in quel circolo vizioso che è la ricerca di un ambito in cui auto-celebrarsi, convincersi di generare in altri ammirazione. Invece è l’esatto contrario, inseguiamo
così tante illusioni che alla fine ignoriamo che ciò di cui abbiamo bisogno non era arrivare in vetta, ma era mantenere salda la cordata. Non si ha più il senso della misura, forse perché non si ha più il senso di praticità delle cose. La maggior parte di
noi occidentali trova tutto “a scaffale”. Non si comprende più quanto sia costato, in termini di fatica, fare una determinata cosa. Allora la si sottovaluta, la si sminuisce e questo porta non a godere del valore delle cose, ma nel solo bramare quelle che
ancora non si hanno. Una spirale di follia pura. Non posso sapere con certezza se un futuro con la pancia vuota sarà la cura per fortificare una generazione, ma di certo questo è quello che aspetta a chi non inverte il passo e cambia il sentiero. Se fino
ad oggi abbiamo seguito un percorso e ci stiamo accorgendo che quella via ci sta portando sull’orlo del precipizio anziché in vetta, ad insistere su quella strada non si è tenaci, si è cretini. Dobbiamo riscoprire la nostra dimensione reale, e la misura alle
nostre necessità: se ho freddo accendo un ceppo di legna, non appicco il fuoco ad una intera foresta. Se ciò fosse ancora possibile, ritornare ad una concreta percezione di quello di cui si ha davvero bisogno, sarebbe una svolta epocale. Il benessere, inteso
come star bene con gli altri e non sulle spalle di altri. Il buon vivere indirizzato come l’avere solo ciò di cui ho bisogno per essere libero, non ciò che necessito per illudermi di essere privilegiato rispetto ad altri. Quanti che hanno solo generato invidia
vengono ricordati. La strada per l’oblio comincia sulla terra dei vivi. Prendiamoci il tempo per godere di ciò che è bello, di ciò che ci viene donato senza un secondo fine. Di ciò che ci arricchisce non riempiendoci le tasche di vizi, illusioni e dipendenze.
L’economia esisterà sempre, perché esistono le interazioni tra persone nello scambiarsi i prodotti delle proprie abilità, virtù. La speculazione è una nebbia che offusca l’orizzonte, ma basta attendere che il sole la dissolva e torneremo a vedere la vera bellezza.
Pazienza, costanza e umiltà d’animo; se davvero insegnassero questo saremmo un mondo perfetto. Parole di un illuso e fallito, forse, ma che vede vibrante nelle sfumature dell’orizzonte, il germe della speranza.
Stefano Camòrs Guarda
#ascuoladiumiltà
Grazie a Stefano Torresan per la bella foto
Nessun commento:
Posta un commento