Diario di un uomo sospeso…
28 Marzo
2016, La resurrezione dell’anima.
Da tempo bramava quel momento il Sospeso, da molto tempo.
L’attimo in cui si posa la suola sul sentiero. Alle spalle si chiude una porta,
ci si libera di un fardello; ammesso che lo si voglia lasciare a valle. Avesse
potuto, il Sospeso non lo avrebbe solo abbandonato tra le rocce, ma lo avrebbe
scaraventato giù, nella prima forra all’altezza del suo nome. Comunque era lì,
finalmente tornato ai piedi di un monte innevato, circondato da fantasiose
guglie che solo il caso può concepire e plasmare. Il destino delle cose, che
come un anziano scultore dalle mani rugose, manipola lentamente le sostanze
generando forme e materializzando idee. Nel muovere i primi passi, riscopre
quasi un alone di tristezza per l’attesa finita, per l’abbandono di quella a
speranza che tiene in tensione la vita. L’istinto è padrone e ordina
sopravvivenza; oggi lo è salire su questa montagna per lingue di neve e
abbandonare il proprio animo, scavare un buco nel ghiaccio e sotterrarlo; la
montagna saprà cosa farne. Il sospeso percorre il serpeggiante sentiero mentre
osserva la propria ombra distendersi tra la terra e i lunghi filamenti
dell’erba secca ancora bruciata dal gelo e dalla neve, tra poco anch’essa
risorgerà a nuova verde linfa e attirerà capre e camosci a lauti banchetti. Dal fondovalle il lago riflette l’azzurro di
un cielo generoso di purezza. Da qui l’azzurro è degno di questo nome, non come
a casa; forse anche l’essere umano solo quassù è ancora degno di questo nome.
La neve dei
giorni passati si è trasformata in un meraviglioso materiale, differente dalla
neve e differente dal ghiaccio; il Sospeso non sa se abbia un nome tecnico ma
per lui è come la strada di mattonelle d’oro nel Mago di Oz, da seguire per
compiere il viaggio rivelatore. I primi passi, sono l’apoteosi della felicità,
ci si affida alla montagna, ai suoi drappeggi luccicanti, al suo volere. Umile
sale, odorando l’aria fredda, ma intrisa del profumo di polvere di roccia e di
avvinghiati ciuffi d’erba umida. Un
tappeto su cui salire, elevare il corpo, liberare la mente. Ogni tensione, ogni
tristezza, ogni preoccupazione svanisce e non si capisce bene dove e quando sia
stata perduta. La forza, l’energia della montagna sembra entrare nelle ossa, attraverso
le piccozze e i ramponi raggiunge la pelle, il sangue, e quando poi arriva alla
mente: l’estasi. Il Sospeso è parte della montagna, ospite educato e per questo
accettato e coccolato dalla padrona di casa. Il Sospeso decide di modificare
l’itinerario, di seguire una variante. Un’accennata lingua di neve tra rocce,
un privilegio che intensifica la passione, l’intimità.
Nessuno in questi giorni era ancora passato di là, non v’è
traccia alcuna. La pendenza si accentua, poi s’impenna e alla fine anche la
neve s’aggrappa alla roccia verticale. Il Sospeso, ora, è realmente sospeso.
Prima di effettuare un leggero traverso e portarsi su una forcella, arresta la
progressione. Le punte dei ramponi lo sostengono e le picche sono ben salde a
quel manto pensile, tutto ciò che lo circonda lo affascina, lo ammalia. Potesse
pietrificarsi e diventare parte della montagna, forse lo farebbe, o forse
sceglierebbe di divenire neve e sciogliendosi andar per cieli in attesa di
nuove vette e cenge su cui adagiarsi. Evanescenti e fulminei, i sogni come gli
istanti fuggono. Raggiunta la forcella, estrae la corda e con una calata di una
dozzina di metri ritorna nel canale principale. La ripida via si stringe in un
abbraccio di pareti strapiombanti e friabili, nessuna voce rimbalza al suo
interno eppure al Sospeso pare di udire parole, suoni. Se sia il monte o la
neve, il vento o la propria follia poco importa, è una lingua atavica che
trasporta pace e forse una sensazione sconosciuta: felicità. Molti passi
ancora, tanti sguardi meravigliati e grati, che bella che è questa montagna,
com’è affascinante. E’ il pensiero fisso in tutte le volte che l’ha salita.
Il canalone è
terminato, il raggiungimento della cima è una bella camminata. In vetta a
quest’altare, regalo del cielo, molte persone intorpidite dalla visone delle
valli nebbiose lanciano pensieri nel vuoto, così come le briciole di pane alle
gracule alpine. Il Sospeso non può che smarrirsi nell’incanto del momento.
Inaspettata ricompare l’anima. Seppellita all’inizio del canale lo ha seguito
sotto il ghiaccio, come il riflesso d’uno specchio, e ora torna, purificata e
limpida, risorta a nuova luce. Il respiro si placa e rallenta il battito, la
luce irraggia il viso disteso. Leggero, incorporeo, immateriale plana sulle
bave di vento e gusta ciò che mai potrà portare via, che mai potrà raccontare
appieno, che difficilmente saprà trasmettere con la reale potenza emotiva, e
per questo ancor più prezioso e unico. Ognuna di quelle intense esperienze
genera conoscenza e consapevolezza. Non siamo nulla di ciò che crediamo di
essere e ci arrabattiamo per comprendere in che modo diventare ciò che non
siamo. Per capire, alle volte, basterebbe saper ascoltare il vento.
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