Grigio antracite, scuro e rovente l’asfalto. Beige, marrone, rosso cupo di terra arsa e sassi incastonati in questo polveroso sterrato. L’occhio fissa il terreno, cerca di prevenire l’inciampo; illuso. Le gambe si muovono ritmiche, incuranti
del panorama loro attorno, delle compagnie o dei pensieri che ronzano più in alto, come moscerini tra graspi ammuffiti. Non importa se intorno ci siano palazzi, ringhiere di siepi o colli lievemente ondulati, né monti aguzzi, né laghi, mari o infinite visuali,
nella corsa entro in corridoio astratto. Un tuffo seguito da una concentrata apnea; che tutto allevia nella sua ovattata dimensione. Non un’avanzata forsennata, no, nemmeno una camminata rapida, il passo giusto, quello che diventa piacere, fuga, cura. Non
corro contro di me, ma per me. Non gareggio, non m’importano medaglie o tempi, medie, cancelli. E’ una filosofia, uno stile di vita. M’immergo in un liquido denso e confortante, nonostante là fuori ci siano gelo o caldo torrido, ghiacciai o dune. Il mondo
implode e si concentra in minuscola sfera nella mia mente, governabile, poggia il suo baricentro in armonico equilibrio. Il ritmo del cuore, del respiro, il calpestio delle suole diventano musica e danzo verso un luogo irraggiungibile. Non ho meta, non ambisco
un traguardo, ma anzi la speranza è che il mio movimento raggiunga la notte e poi ancora il giorno e così via, senza bandiere, dogane, confini. Improvvisa una freccia mi lacera il petto; la fatica, la sofferenza, cercano di sfondare la porta del mio bastione.
La battaglia è cruenta nella mente e vessilli di follia sventolano tra le schiere del nemico, tra i fulmini della tormenta. E’ il tempo del coraggio, della sopportazione. La tempesta cessa, la battaglia termina e torna la quiete, temporanea. In fondo quella
battaglia m’intriga e belligerante vado in cerca di guerra. Corro, senza un motivo apparente, calcando lo spazio e fluttuando nel tempo. Cometa tra paesaggi di vite e sogni rubati. Corro.
Stefano Camòr Guarda
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