lunedì 27 maggio 2013

E' incurabile essere sani.

Accadde un giorno, in un paese lontanissimo dalla nostra elevata cultura ed etica, che un signore sulla cinquantina, depresso e malconcio, fu portato in un ospedale. Non in un ospedale normale, bensì in un avveniristico centro di cura. Quel luogo incontaminato era il più moderno e all’avanguardia avamposto sanitario del mondo, capace di curare qualsiasi male. L’uomo sembrò immediatamente molto grave e dovette essere subito visitato altrimenti avrebbe potuto morire e quindi incidere e far decadere il prestigio di quel centro miracoloso. Arrivò il cardiologo, lo visitò e non trovò nulla di malato. Era in gioco però, il buon nome dell’istituzione, quindi, per non prendersi responsabilità personali in caso di morte del paziente, convocò alcuni illustri colleghi, di fama internazionale, per discutere sul caso. L’uomo avrebbe voluto dire qualcosa, ma per quanti sforzi facesse, sembrava che la sua flebile voce non potesse essere minimamente udita. Arrivò l’ortopedico, che gli fece istantaneamente una serie di lastre. Non trovando nulla però, si sentì quasi essere lui stesso vittima di un tranello, un complotto minante la sua carriera. Così decise anch’egli di dichiarare la prognosi riservata e convocò altri suoi illustri colleghi, temporeggiando in un acceso confronto. Il povero uomo peggiorava a vista d’occhio, era sempre più fragile e smorto. Vennero a visitarlo tantissimi altri medici, di tutte le specialità, dall’oncologo fino allo psichiatra, ma tutti dovettero chiamare dei convegni sul caso per proteggere l’onorato blasone o forse il proprio sgabello. Passarono altri giorni e l’uomo era sempre più debole e inerme. L’eccellenza sanitaria, pur di non vedere intaccata la sua gloria, chiamò di nascosto ogni genere di risorsa, anche quelle più alternative e denigrate. Ecco allora, giungere al capezzale maghi, astrologi, comici, tecnici (in cosa, nessuno lo seppe mai), politici, sindacalisti e preti, ma tutti senza alcun risultato. Fu portato addirittura un pony, per la pet-terapy, ed infine una prostituta; la signorina però, era lì per errore, disse che aveva soltanto sbagliato stanza. Lei stava cercando un ambulatorio di più alto rango e a quelle parole tutti i presenti si dichiararono parte civile. Si vede che la verità offende.
Alla fine quell’uomo morì, così, in silenzio o inascoltato come era sempre vissuto.
L’infallibile Istituto finì agli onori di cronaca, per aver fatto tutto, possibile e impossibile pur di salvarlo. Caroselli televisivi incensarono primari con lacrime prestate dalle soap-opera, commossi, come da palinsesto, sotto l’insegna pubblicitaria di prodotti farmaceutici non generici. All’uomo della strada, di cui però, nessuno ricordava nemmeno il nome, furono dedicati funerali di stato, lutti cittadini e minuti di silenzio nelle partite di Champions league. Il giorno dopo, ovviamente, tutto venne dimenticato, come si fa con le cose vecchie e scomode, cui si regala lo stesso rispetto che hanno i piccioni sulle statue dei caduti.
Fu un vero peccato, che al mirabile Istituto sanitario, nessuno, ma proprio nessuno, abbia pensato per un istante che quell’uomo, quel caso clinico, quell’enigma irrisolvibile, era anche un essere umano. Già, un piccolo, semplice essere umano e come tale avrebbe dovuto mangiare.
L’uomo, quello sventurato uomo, era morto di fame, perché semplicemente non era stato considerato e trattato da uomo.
La cosa  più terribile e dolorosa, in questo caso, è che fu aperto anche un fascicolo d’inchiesta dalla magistratura. Richiesto e concesso a suon di sprangate, sassi alle vetrine e bombe carta, da irreprensibili attivisti per i diritti umani, di destra o di sinistra, non se lo ricordano neanche loro. Gli stessi, che ora dormono sonni tranquilli, abbracciando la loro sudata sentenza, per quell’uomo, di cui non sapranno mai nemmeno il nome: “Morto, vittima di un paradosso.”

Camòrs       

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