Diario di un uomo sospeso…
21 Febbraio 2016, La cosa di più gran valore: il
tempo.
Le giornate si stanno percettibilmente allungando.
Camminando tra i viali s’incontrano profumi di fioriture invernali, essenze che
ingannano la mente, rammentando miraggi di primavera. Intorno al Sospeso tutto
corre, ogni movimento è un incalzare di velocità. Appare quasi che per ogni
cosa, il valore non stia più nella qualità del modo in cui viene fatta, ma
nella velocità in cui la si fa. Se poi è fatta male, beh, c’è il tempo per rifarla
o per rimediare. Il tempo, già proprio lui, che invece ci ricorda in ogni
istante che una cosa passata non torna più indietro. Crediamo di averlo
rinchiuso negli orologi, di poterne disporre a dismisura, che sia lì, a nostro
consumo e disposizione. Le cose che facciamo, soprattutto quelle immateriali,
hanno come valore il tempo cui dedichiamo allo sviluppo di queste. Non possiamo
pretendere perciò che una cosa cui abbiamo dedicato cinque minuti, risulti
avere una valore maggiore di quello. Dove sta poi la poesia nella velocità? La
poesia nelle cose è l’amore che ne ha impregnato l’ingegno nel pensarle e nei
gesti che sono stati compiuti per plasmare il progetto, o l’oggetto. Nella
velocità non c’è spazio per questo, non c’è spazio per la poesia.
Cammina,
il Sospeso, tra le vie del centro. Lentamente. Tutto intorno a lui è un
brulicare, un rincorrere il tempo, per fare più cose…..oggi dieci, domani
venti, poi trenta e via così, veloce, sempre più veloce. La gente fatica a
guardarsi in faccia, non perché siano persone scorbutiche, ma perché se per
sbaglio incrociano lo sguardo di qualcuno che conoscono, tocca poi fermarsi per
un saluto e perdono del tempo. Automi consapevoli o no, in un circuito vizioso.
Per poi lamentarsi di non avere mai tempo. Ormai è la routine è diventata come
la corrente impetuosa di un fiume, è difficile uscirne, t’inghiotte se tenti
un’inversione di marcia, ti annega. Osserva
un signore sui settant’anni, il Sospeso, seduto su una panchina. E’ invisibile
a tutti, più invisibile della panchina stessa. Si guarda intorno, spaesato come
uno straniero in un mondo nuovo. Fatica a comprendere ove sia stato negli
ultimi vent’anni, per non essersi accorto di tutti questi cambiamenti che lo
hanno isolato ed emarginato, come abbia fatto a distrarsi a tal punto da non
accorgersi. Lui non ha due telefoni, non ha un auricolare nascosto e non va in
giro parlando al vento con le sembianze d’un matto. Gli piacerebbe solo avere
ancora una persona con cui fare due chiacchiere su quella panchina. Come
quarant’anni prima quando uscito da messa, si fermava a parlare con gli amici.
Alcuni saranno già morti, gli altri chissà. Forse ognuno di loro ha ereditato
una panchina vuota, e ognuno aspetta gli altri, ma in posti differenti. Magari
è vedovo e sta solo osservando con malinconia i luoghi dove incontrò la sua
signora. Quello che desidera davvero non sono soldi o lussuosi suppellettili. No,
vorrebbe solo avere del tempo da donare a chi non c’è più, per godere ancora
della sua compagnia. Avrà sprecato il
suo tempo, o lo avrà usato bene? È una domanda cui il Sospeso non avrà una risposta.
Come non avranno una risposta quegli interrogativi costanti: perché la gente
brama ogni genere di cose ma non il tempo? Perché ognuno di noi pensa che sia
un bene infinito? C’è chi si preoccupa che probabilmente tra cinquant’anni non
ci sarà più petrolio, senza pensare che è invece sicuro, che non ci sarà più
lui.
Un paio di
tiepidi raggi accarezzano la pelle del viso, un gioia delicata e improvvisa
emerge lentamente da dentro. L’unico dubbio che viene al Sospeso è come sia una
gran fregatura il fatto di non conoscere la data della propria morte. E’ come
se una banca ti dicesse: “hai a
disposizione una quantità di denaro, usala pure” (so che di questi tempi è
un frase di pura fantascienza). Ma se non conosco qual è l’entità della cifra,
come posso organizzare le spese e non trovarmi senza un soldo in un breve
periodo. Così è per il tempo, se sapessimo quale fosse la data del nostro
ultimo giorno, di certo non ci creeremmo ansie per accumulare ricchezze come se
dovessimo campare per l’eternità. Faremmo il minimo necessario per goderci la
vita e arrivare a quel giorno con il maggior numero di cose fatte e soprattutto
godute. Perché il tempo è prezioso e non ne puoi comprare d’altro; quello hai e
quello ti tieni. Niente appelli, niente ricorsi, niente tangenti e amicizie di
comodo. Lo capirebbero tutti, anche se non fossero stati educati al consumo e
alla produzione. La malattia più grave del mondo consumista di oggi è
“l’economia”. Non si può pensare che la vita abbia un valore solo se si produce
e se si consuma, altrimenti si è: un peso per la collettività. Certo non
dico che tutti debbano divenire “cicale” e nessuno “formica”, basterebbe una
via di mezzo… forse dei “grilli” o delle “cavallette”. Ma al giorno d’oggi, il
problema non è forse che proprio le “cicale” si sono messe a governare le
“formiche”?
Il sospeso
apre la porta di casa ed entra, oggi ha avuto per un istante il cuore più
sereno. Nelle narici e nella mente regna ancora il profumo del Calicantus, le
carezze del sole invernale e quella soddisfazione di aver usufruito del tempo a
disposizione in maniera equivalente al suo valore. Molti nella stessa giornata
avranno accumulato averi e l’ansioso pensiero di non perderli. “No, non è nelle mie corde” pensa il
sospeso chiudendo la porta, “la vita non
può essere quella schiavitù”.
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