Un
ripetersi d’istanti, costante come i giri del pianeta. Un tempo sospeso nella
luce tenue e delicata dell’oblio. Sfumature innaturali donano alla volta
riflessi madreperla, e l’occhio annega nel paesaggio senza voglia di reagire. Un
sospiro d’abbandono e cedo all’infinito che diviene visibile, una terra di
confine dove solo la sensibilità non è più apolide. Una voce interiore biascica
una frase, della misera ragione estranea. S'inerpica come edera soffocante
nella mente e agonizza l'animo negli ultimi spasmi di rigetto, paura d'ignoto.
Avverso
corpo estraneo è questo palcoscenico, che insiste saldamente e mi strema verso
una ricerca di liberazione da ciò che non è pensiero, da ciò che è umano. Non
ho mani per scagliare con violenza rabbiosa la mia lancia d'ignoranza.
M'arrendo
e abbandono, ma non t'assorbo, diffido, ti ricopro, rivesto, faccio mio in
vestigia nuove. Senza pietà sei già nel mio animo annichilito e impasti di nuove
forme le crete dei sentimenti. Compensi
le mie imperfezioni, le colmi e plasmi in sferica armonia. Un nuovo pensiero,
screziato nei tuoi colori privi di confine: attingono vita e risplendono alla
luce di nuova conoscenza che si perde sulle pareti del mio cuore e nell’oscurità
dell’universo. Risalta dei tuoi toni il valore della vita e un vento freddo da
Nord-Ovest porta un canto commosso: Sei preziosa esistenza, sei rara e unica, inaspettata
e meravigliosa, rivestita del colore del cielo, in madreperla.
D’improvviso
addirittura s'è placato il vento di Nord-Ovest che sibila, lacera, irrita
l'umore.
Il
buio è in cerca di pensieri che evaporano nell'insieme dei respiri, nel
rintocco di sospiri. L'oscurità fagocita fantasmi di fiato e mi scopro di nuovo
ad alzare il pesante tabarro di solitudine.
Appaio
alle stelle come inutile sentinella, qui fuori di veglia e invidio le luci
della valle; ad una ad una si spengono, affondano nella notte le assi seccate
dal gelo, le piode, gli scuri sbarrati.
Dove
siete ostili folate? Perché non tornate a tormentare il mio volto scatenando,
per mio sollievo, l'adrenalina del fastidio? Non c'è portanza che regga ali nel
tedio di un'inutile attesa, nemmeno il campanile della Chiesa Vecchia mostra
voglia di sprecar voce, e s’adagia al ricordo immoto che la circonda.
Non
ha senso abusare del tepore del focolare, il mio posto è qui, al domestico
confino. Abbarbicato alle fronde del tiglio grande in attesa di echi celesti. Quale battaglia ho combattuto? Esule e reduce insepolto
del mio tempo, d'una guerra cui nessuno, ha coraggio dir ch'esista. Virulenta inquietudine della mente che
invidia la quiete ai sepolcri da folate lambiti; che l'anfratto sanguinante nel
mio petto sia pertugio per quel vento?
Allor
m'illudo, sai, per un istante d'esser diverso da uomo, solo perché m'isolo
coatto nell'antro delle mie paure, verso quelle quote severe, pulite. La notte
della città è prostituta da maritare, in laidi andirivieni di false promesse.
Non qui. La luna è sincera, il vento non s'ammansueta all'esibita arroganza.
Sfibra le mie nervature e rinfaccia le mie intime vanità: sei uomo! Esisti per
un istante e, avaro mentecatto, blasoni diritti non tuoi.
S’annida
sul ramo lo sconforto della ragione che alimenta un filo di voce, un sussurro
tagliente, immancabile lama d'ogni istante: guida, giudice, carnefice. Ignoro
del vago argomentare quasi tutto tranne le parole sottili, garbate, esili
persino, eppure ingabbiano comunque ogni mio istinto.
S'amalgama
al sogno il desiderio dell'alba della realtà, sorretta e salda procederà forse
la mia figura, avvolta in quel filo di voce.
In
fondo era solo luce. Di che avrò mai sittanto cordoglio? In un attimo è
accaduto, il sole è annegato nell'orizzonte aguzzo e luminoso; e non era più
giorno, non ancora notte: solo luce.
Il
cuore delle nubi pareva scuro, s'incendiarono effimeri i bordi e inebriato fiorì
lo spirito: non astratto, non tangibile. Mi assentai, immersi nel puro pensiero
e quiete fu, confine tra il sogno e la veglia. Persi la carne e mi unii al
cielo, per un rapido istante dal valore di un'esistenza.
Ecco
di cosa bramo il prolungarsi dell’esperienza. Per un attimo ancora vestire un
drappo dell’abito di Dio: non più uomo, solo luce.
Stefano Camòrs Guarda
Nessun commento:
Posta un commento