Anticipo qualche giorno l’assalto della moltitudine: un esercito
armato di fiori e di ricordi. Un caotico raduno intarsiato dal sussurrante pregare
di chi ha lasciti acerbi o solo di chi si consola, perché osservando la morte
si compiace d’esser vivo.
Io sono qui per sentire di nuovo il calore della tua presenza, che
silenziosa e accogliente, stemperava le mie quotidiane frivolezze in un rapido
sguardo. Tu si che la sofferenza l’hai vissuta sulla pelle; tu come i molti
della tua generazione. La tua leva mi ha insegnato che la tenacia e la fatica
contorcono le fibre della vita, così come freddo e vento ritorcono il legno dei
tronchi cresciuti nei luoghi di stento. Ma è l’esistenza sofferta che incornicia
in maniera nobile l'essenza stessa della vita.
Dopo tanto tempo ancora mi ritrovo qui, immerso in questo crepuscolo
di ricordi, dove ogni logica decade e ogni memoria diviene sfuocata e lontana.
Eppure più passano folate d’autunno, più ogni schietta parola riemerge più
intensa e significativa che mai. Ogni anno mi trovo a non capire se sia più
doloroso l'istante in cui si scorgono inattese nuvole lontane e attendere il
loro arrivo, oppure il contatto di una pioggia che ci bagna prima ancora di
toccarci. Nella mia caustica e malinconica confusione capisco che, qui più che
altrove, dopo una lunga assenza realizzo cos’è l'essere tornato a casa.
Riconosco il senso della parole in sé: non mi servono pareti o casseforti per
custodire le immortali vibrazioni trasmesse dall’affetto. Non cessano di
emanare energia con il passare del tempo, perché quel seme non è stato piantato
invano dietro una lastra di sasso, ma in un angolo recondito del mio animo; ora
illuminato dai tenui bagliori della sera.
Mi sovviene il tuo volto, scavato di rughe come trincee sulla pelle, pertugi
di chi la guerra l’ha vista davvero. Salda e ferma come i monti a me cari, rappresenti
ancora i valori antichi dell’essere umano. Una mia personale montagna, che mi
ha insegnato ad essere coraggioso ma non avventato, ad essere responsabile,
onesto con me stesso e con gli altri. Crescendo avvolto nel valore della
fiducia, dell'amicizia e dell'amore per la vita. Usando tanto la testa quanto
il cuore per superare le difficoltà. Ho imparato a soffrire quanto a gioire,
sempre nella crescita completa del mio animo. Ho frequentato un'accademia
speciale, gratuita e libera da ogni condizionamento. Mi hai inculcato una cosa
meravigliosa: il rispetto.
Il setaccio del tempo ha depurato ogni inutile velleità, cancellato
quelle orrende venature d’orgoglio e oggi, se solo potessi ritrovarmi di nuovo
davanti ai tuoi occhi, mi presenterei così: “Non
chiedermi chi sono, ma chiedimi ciò che amo. Non avrai bisogno di porre ulteriori
domande”. Avresti una carezza da donarmi, come sempre leggera, nel
corridoio che porta alla stanza dei sogni.
Laggiù nella terra della memoria dove m’aggroviglio in un onirica
ricerca. Vorrei recuperare tutti quei grazie mancati, per pigrizia o
distrazione. Silenzi pesanti e che feriscono, ma che siamo in grado di
percepire solo quando un’assenza si fa assordante e definitiva. E’ genuina stupidità,
è l’umana leggerezza.
Sfioro la fredda lastra con la punta delle dita. Mi avvolge l’odore
dolciastro del passato, l’aroma di cera che passavi sui mobili della camera da
letto; perché ai tuoi tempi alle cose e alle persone ci si teneva, e allora ci si
prendeva cura di esse. Si donava loro del tempo. Come hai fatto con me.
Io non porto fiori e me ne vado da questo freddo dormitorio non a mani
vuote. Ogni volta rinfresco i colori di un quadro misterioso e privato,
ravvivando le tinte sfumate nei bagliori del tramonto.
Camòrs
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