18 Ottobre 2015, il diario della decadenza
Comincio la narrazione della storia del Sospeso
oggi, domenica 18 Ottobre 2015. Un giorno come tanti passati e tanti futuri, in
un’esistenza all'apparenza blindata alla quotidianità. E' buffo come a volte si
desiderino contemporaneamente cose opposte, eppure è così. Magari l'istinto ci
suggerisce il cambiamento ma la razionalità lo teme, e quindi ci fa ambire il
non cambiamento, la quotidianità appunto. Era da tempo che non usciva più per
fare una corsetta rilassante, nonostante i buoni propositi il tempo non era mai
abbastanza. Il lavoro sempre più opprimente in una morsa soffocante, degna di
un boa constrictor. In aggiunta una famiglia numerosa e un habitat quotidiano
caotico e stressante portarono ad un sovraccarico di tensione il Sospeso. Lo
avevano soprannominato così alle scuole superiori quando in un tema scrisse
appunto di sentirsi come un viaggiatore sospeso tra mille realtà, di cui però
nessuna capace di assorbirlo completamente, da renderlo pienamente vivo al
tempo presente. Per uno scherzo del destino la frase piacque alla professoressa
che volle leggerla davanti alla classe. Settimane di acida goliardia portarono
a marchiare quel soprannome per il resto della sua esistenza.
Esistenza,
assurda parola. Apparentemente sembra indichi un arco di tempo molto lungo,
quasi infinito. E' l'inconscio umano che boicotta la percezione della realtà,
perché se ogni giorno, ogni istante pensassimo fosse l'ultimo, allora
probabilmente sarebbe vivremmo in un mondo di solo isterismo e pazzia. Forse è
già così, può darsi che siamo sul baratro della resa dei conti, ma fingiamo di
non accorgercene per non venire divorati dalla belva del terrore. Siamo soldati
che combattono per sopravvivere alla vita, ma a dispetto della modernità che ci
ha ingurgitati, siamo molto più fragili degli arretrati avi. Ci agghindiamo di
progresso e tecnologia, per la quasi totalità superflua, ma basta che ci venga
tolta una di queste cose che ci sentiamo smarriti, inermi, persi. Se poi a
lasciarci è una cosa fondamentale, allora è davvero una caduta rovinosa.
Dal tempo
delle scuole superiori, da quando aveva per la prima volta compreso la realtà
di quelle due parole “Soldati” e “caduta” in un unico contesto, il binomio non
lo aveva più abbandonato. Quel titolo “Soldati” e quelle parole, brevi nella
composizione, ma infinite nel senso e nel dramma “Si sta come d’autunno sugli
alberi le foglie”, lo avevano sconvolto, reso ancora più sospeso. Aveva davanti
agli occhi le foglie ingiallite dei platani del viale Boccaccio, ingiallite e
morenti, e si rese conto che una foglia che cade nella terra, marcisce e genera
nutrimento, dalla fine a nuovo inizio, ma sull'asfalto della città vi è solo
morte e abbandono. Cosa può cercare e trovare l'animo in un oblio asettico, in
una foresta addomesticata. Quale impulso, quale crescita, se non nel ricercare
un proprio ambito in cui scovare appigli di una propria evoluzione. Perché alla
fine è di questo che stiamo parlando, di trovare un nostro senso, un nostro
scopo ai giorni che riempiamo con la nostra presenza. Quando ci rendiamo conto
di questo, percepiamo anche quanti giorni abbiamo sprecato, tempo lasciato
scivolare via, senza cogliere nulla. Quanti frammenti di tempo possiamo ritenere
fondamentali al nostro vero io. Non al nostro mantenimento economico o alla
nostra gaudiente ambizione. A noi, al nostro essere. Quanti di noi saprebbero
dire con sufficiente realismo cosa rappresentiamo a noi stessi, non agli occhi
degli altri, ma a chi non può essere taciuta alcuna verità. Cosa è necessario
ricercare, un'elevazione del nostro io, o solo un innalzamento della nostra
reputazione verso gli altri. Dove dobbiamo ricercare la vera felicità, nella
sopraffazione, seppur pacifica, degli altri o
in una difficile e laboriosa tessitura del nostro spessore morale. Cosa
farebbe di noi uomini migliori, quale delle due opzioni risulterebbe più utile
al mondo.
Un soffio
di vento e una leggera bruma accompagnano il declino della luce solare. Giallastre
lampade insinuano ombre tra le fronde, un sommesso rumore d'auto che sfrecciano
sul viale alberato intorpidisce i riflessi. Il Sospeso si perse nel labirinto a
lui più congeniale e da lui più temuto, quello dei suoi pensieri. In cerca
della direzione, in cerca forse, di cosa il suo istinto tentava di
comunicargli. Per non impazzire, per non annegare nel fatalismo, per cercare di
sopravvivere all'irrazionale ragione che ci ha portati in vita e che con lo
stesso cinismo la leva senza rimpianto alcuno.
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