martedì 29 marzo 2016

Diario di un uomo sospeso…La resurrezione dell’anima.

Diario di un uomo sospeso…


28 Marzo 2016, La resurrezione dell’anima.

Da tempo bramava quel momento il Sospeso, da molto tempo. L’attimo in cui si posa la suola sul sentiero. Alle spalle si chiude una porta, ci si libera di un fardello; ammesso che lo si voglia lasciare a valle. Avesse potuto, il Sospeso non lo avrebbe solo abbandonato tra le rocce, ma lo avrebbe scaraventato giù, nella prima forra all’altezza del suo nome. Comunque era lì, finalmente tornato ai piedi di un monte innevato, circondato da fantasiose guglie che solo il caso può concepire e plasmare. Il destino delle cose, che come un anziano scultore dalle mani rugose, manipola lentamente le sostanze generando forme e materializzando idee. Nel muovere i primi passi, riscopre quasi un alone di tristezza per l’attesa finita, per l’abbandono di quella a speranza che tiene in tensione la vita. L’istinto è padrone e ordina sopravvivenza; oggi lo è salire su questa montagna per lingue di neve e abbandonare il proprio animo, scavare un buco nel ghiaccio e sotterrarlo; la montagna saprà cosa farne. Il sospeso percorre il serpeggiante sentiero mentre osserva la propria ombra distendersi tra la terra e i lunghi filamenti dell’erba secca ancora bruciata dal gelo e dalla neve, tra poco anch’essa risorgerà a nuova verde linfa e attirerà capre e camosci a lauti banchetti.  Dal fondovalle il lago riflette l’azzurro di un cielo generoso di purezza. Da qui l’azzurro è degno di questo nome, non come a casa; forse anche l’essere umano solo quassù è ancora degno di questo nome.
   La neve dei giorni passati si è trasformata in un meraviglioso materiale, differente dalla neve e differente dal ghiaccio; il Sospeso non sa se abbia un nome tecnico ma per lui è come la strada di mattonelle d’oro nel Mago di Oz, da seguire per compiere il viaggio rivelatore. I primi passi, sono l’apoteosi della felicità, ci si affida alla montagna, ai suoi drappeggi luccicanti, al suo volere. Umile sale, odorando l’aria fredda, ma intrisa del profumo di polvere di roccia e di avvinghiati ciuffi d’erba umida.  Un tappeto su cui salire, elevare il corpo, liberare la mente. Ogni tensione, ogni tristezza, ogni preoccupazione svanisce e non si capisce bene dove e quando sia stata perduta. La forza, l’energia della montagna sembra entrare nelle ossa, attraverso le piccozze e i ramponi raggiunge la pelle, il sangue, e quando poi arriva alla mente: l’estasi. Il Sospeso è parte della montagna, ospite educato e per questo accettato e coccolato dalla padrona di casa. Il Sospeso decide di modificare l’itinerario, di seguire una variante. Un’accennata lingua di neve tra rocce, un privilegio che intensifica la passione, l’intimità.


Nessuno in questi giorni era ancora passato di là, non v’è traccia alcuna. La pendenza si accentua, poi s’impenna e alla fine anche la neve s’aggrappa alla roccia verticale. Il Sospeso, ora, è realmente sospeso. Prima di effettuare un leggero traverso e portarsi su una forcella, arresta la progressione. Le punte dei ramponi lo sostengono e le picche sono ben salde a quel manto pensile, tutto ciò che lo circonda lo affascina, lo ammalia. Potesse pietrificarsi e diventare parte della montagna, forse lo farebbe, o forse sceglierebbe di divenire neve e sciogliendosi andar per cieli in attesa di nuove vette e cenge su cui adagiarsi. Evanescenti e fulminei, i sogni come gli istanti fuggono. Raggiunta la forcella, estrae la corda e con una calata di una dozzina di metri ritorna nel canale principale. La ripida via si stringe in un abbraccio di pareti strapiombanti e friabili, nessuna voce rimbalza al suo interno eppure al Sospeso pare di udire parole, suoni. Se sia il monte o la neve, il vento o la propria follia poco importa, è una lingua atavica che trasporta pace e forse una sensazione sconosciuta: felicità. Molti passi ancora, tanti sguardi meravigliati e grati, che bella che è questa montagna, com’è affascinante. E’ il pensiero fisso in tutte le volte che l’ha salita.
   Il canalone è terminato, il raggiungimento della cima è una bella camminata. In vetta a quest’altare, regalo del cielo, molte persone intorpidite dalla visone delle valli nebbiose lanciano pensieri nel vuoto, così come le briciole di pane alle gracule alpine. Il Sospeso non può che smarrirsi nell’incanto del momento. Inaspettata ricompare l’anima. Seppellita all’inizio del canale lo ha seguito sotto il ghiaccio, come il riflesso d’uno specchio, e ora torna, purificata e limpida, risorta a nuova luce. Il respiro si placa e rallenta il battito, la luce irraggia il viso disteso. Leggero, incorporeo, immateriale plana sulle bave di vento e gusta ciò che mai potrà portare via, che mai potrà raccontare appieno, che difficilmente saprà trasmettere con la reale potenza emotiva, e per questo ancor più prezioso e unico. Ognuna di quelle intense esperienze genera conoscenza e consapevolezza. Non siamo nulla di ciò che crediamo di essere e ci arrabattiamo per comprendere in che modo diventare ciò che non siamo. Per capire, alle volte, basterebbe saper ascoltare il vento.




lunedì 14 marzo 2016

Diario di un uomo sospeso…laggiù dove vive il passato.

Diario di un uomo sospeso…


13 Marzo 2016, Laggiù dove vive il passato.

Ieri era caldo, sembrava la primavera avesse spalancato la porta e fosse entrata a riempire le stanze del mondo. Oggi meno, fa più fresco. Anche il cielo è voltato ad un color grigio austero, brusco come una sgridata inattesa. Il Sospeso nei giorni passati ha toccato il fondo. Salutare per l’ultima volta chi rappresentava parte della propria infanzia, chi ricollegava il pensiero alla propria età della primavera è stato un peso non facilmente addossabile. Il Sospeso si ricordava di qualche anno prima, in quella stessa chiesa, in quello stesso vento freddo. Aveva osservato un uomo che aveva appena perso la moglie. Abbracciato e supportato dai propri figli, di lui ricordava lo sguardo. Quello sguardo di chi ha smarrito la rotta, che avrebbe voglia di lasciare la nave alla deriva, ma non può. Ha il dovere di lottare per il proprio equipaggio, perché dipendono da lui, perché gli vuole bene. Il Sospeso era appena diventato papà e colse appieno quei segni inaccessibili alla precedente giovinezza. Oggi l’equipaggio è forte e maturo grazie al suo esempio, e quasi con sollievo s’è abbandonato alle onde con la speranza di riabbracciare al più presto quella donna. “Perché in fondo se lo merita, di ritrovar l’affetto di chi lo ha tanto amato”. Il Sospeso è riconoscente a quell’uomo per l’esempio che gli ha involontariamente donato, che è stato marchiato nel suo animo nel momento in cui incrociò quello sguardo smarrito nel vuoto della sofferenza. E’ stato un grande onore conoscerlo, e una benedizione vedere di Te e tua moglie i segni del vostro animo germogliati nei vostri figli. Il Sospeso non può che rimanere turbato nei suoi interrogativi: “Sarò mai all’altezza di quell’esempio? Prigioniero, quale sono, delle mie incertezze e fragilità” .
   Sospeso nel proprio tempo, sospeso nel proprio mondo.
   Davvero non trova più alcun appiglio in questo modo di essere. Anche la finzione sta diventando un male incurabile, che giorno dopo giorno, trasforma un finto sorriso in una smorfia di dolore. Che lo consuma dall’interno, lo svuota e lo confonde. Al Sospeso viene da pensare a quanti veramente nel mondo stanno navigando seguendo una vera rotta, e quanti invece, come lui, stiano navigando e basta, senza una meta precisa. L’unica istruzione vincolante è l’incolumità della nave, dall’alba al tramonto.
    Si sta materializzando l’idea di andare a ritrovare l’essenza nella natura, in una terra che ancora oggi offre isolamento. Una terra dove ancora tutto è fatica, la maggior parte delle cose è addobbata da privazione. L’uomo vorrebbe mettersi in gioco, è in continua ricerca di risposte su quale possa essere la sua vera reazione ad un salto nel tempo di quasi centocinquant’anni. Di un ritorno alle origini moderne.  Sa bene di avere una visione troppo romantica di quella condizione, visione di chi non ha mai realmente provato i tribolamenti del passato. Eppure la voce dell’istinto porta a far emergere in continuazione la convinzione che ci sia qualcosa di inesorabilmente purificatorio e appagante, in un periodo depurativo in tal modo. La Val Grande è quella terra, luogo di sacrificio e consolazione per chi come lui è anelante d’isolamento. Un salto non solo nella distanza, ma anche nel tempo. Recarsi lassù solo con il proprio fardello di pensieri e un misero bagaglio, quello concesso per attrezzare un maggengo di fine Ottocento.
   Pieno distacco dal mondo e assoluta sopraffazione da parte del proprio essere. Da lì in poi il dubbio, il terrore reale è solo quello di sapere in anticipo se quella terra e quel tempo passato ci rigetteranno come organismi estranei, oppure, una volta iniettati in quel mondo arcaico sarà impossibile ritornare indietro. La terra abbandonata è il futuro dell’uomo; il suo rispetto, il suo utilizzo che ci ancora alla realtà. Non il virtuale. Non il nascondersi in un universo costruito a misura di benessere onirico e distaccato.
   C’è del rischio in questo, ma è la scelta fondamentale dinanzi ad un bivio; è la via che dobbiamo prendere per sapere a quale “etnia” apparteniamo. Esistiamo in un presente ambiguo, di confine. Dobbiamo capire da quale lato stare della rete.
   Anticamente la pangea ci faceva cittadini di un’unica terra, oggi la globalizzazione ha riunito quegli stati divisi dal movimento delle placche della crosta terrestre. Molti hanno già effettuato la scelta, forse il Sospeso è finalmente arrivato alla soglia di quel bivio tanto temuto e atteso.