mercoledì 23 dicembre 2015

Diario di un uomo sospeso…troveranno molti regali ma forse avranno perduto il valore delle cose.


Diario di un uomo sospeso…



25 Dicembre 2015, troveranno molti regali ma forse hanno perduto il valore delle cose.


Anche quest’anno, come è consuetudine nella razza dei coccodrilli, che prima s’abbuffano e poi lacrimano, anche la maggior parte delle persone del nostro paese si tufferà in un turbinio di lauti pasti per annegare nel cibo e nelle bevande le frustrazioni e i veleni che accompagnano il quotidiano per poi annidarsi su morbide poltrone a smaltire gli eccessi.  Tante generazioni attorno ad un tavolo e tanti modi di pensare, plasmati dai tempi in cui ognuno è cresciuto.
   Ecco i nonni più attempati che mangiano come non ci fosse un domani, perché il ricordo della fame dei giorni di guerra non li ha mai abbandonati. Li vedo osservare leccornie in mostra sui piatti di portata e inumidirsi gli occhi, quasi li abbracciasse il velo della memoria, quasi sopraggiungesse il timore che la festa possa finire in un istante e di nuovo tornare i tempi magri, la miseria e la fame. Di solito chi dice che si stava meglio quando si stava peggio, è perché il peggio non l’ha mai vissuto. Chi ha patito c’è solo una cosa che di sicuro non si augura più, patire nuovamente.
   Ecco poi il tavolo degli adulti. I figli di quei genitori memori o partecipi dei tempi della guerra e della miseria, ma in fondo mai provata davvero. Solo sentita nelle ramanzine e sventolata dai padri come monito. Per loro la tavola imbandita è alquanto normale, è quasi tutta la vita che la tavola invita alla festa.  Solo da qualche anno cominciano a rendersi conto del loro stato di privilegiati. Da qualche anno hanno lentamente dovuto cedere frammenti di benessere, e a loro appare una tragedia, una perdita incolmabile, quasi un delitto ai propri diritti. Anch’io sono di questa generazione e ciò che mi turba di più è vedere che siamo una generazione fragile, sia fisicamente che mentalmente. Abbiamo avuto davanti agli occhi negli anni della crescita un esempio che oggi non esiste più, e non sappiamo capacitarcene. Il mondo in cui hanno vissuto i nostri genitori ha toccato l’apice verso la metà degli anni ottanta, ma ormai è bello che defunto. Era una casa in bilico su fondamenta di sabbia, man mano che la si alzava, sotto il suo stesso peso sprofondava. Ma gli uomini invece di compattare la zolla su cui poggiava, ne aumentarono l’altezza. Un metro sprofondava, due metri la si alzava, e così via. Poi è arrivato il punto in cui la velocità dello sprofondare è stata più veloce della possibilità di alzarne la struttura, per mille ragioni. E sono cominciati i guai. I primi costruttori erano morti o troppo vecchi per ricominciare e la tecnologia aveva creato un mostro di nome paradosso; avevamo mille persone in grado di progettare una nuova casa, ma nessuno in grado di sopportare le fatiche per costruirla. Migliaia gli insegnanti ma nessun alunno. E’ il tempo del caos, delle cose annebbiate e dei valori smarriti. Abbiamo la possibilità di scegliere talmente tante strade, che è possibile passare tutta una vita per sceglierne una senza mai percorrerne nessuna. Siamo diventati una razza timorosa. Abbiamo talmente tante cose lasciateci in eredità da chi ci ha preceduto, che la paura di perderle ci ancora, non ci permette più di camminare. Mi auguro che non sia questa la nostra condanna, pentirsi, quando sarà troppo tardi, di non averci neanche provato.
   Poi ci sono loro, i nostri figli. Oggi hanno trovato i regali sotto l’albero, senza nemmeno accorgersi che è già un grande regalo averlo un albero di Natale. Averlo poi in una casa calda e accogliente, senza il terrore di sentire fischiare missili o granate per le strade, ma solo qualche petardo, è una fortuna impagabile. Il regalo più grande che si possa desiderare è avere la serenità, eppure, non per colpa loro, non se ne renderanno nemmeno conto. La festa per i giocattoli ricevuti durerà al più qualche giorno e poi se ne scorderanno e cominceranno a volere qualcos’altro, in un turbinio di desideri a portata di mano e pochi sogni veri. Dovremmo insegnare loro che gioire di ciò che si ha generà felicità, bramare sempre ciò che non si ha genera schiavi. Ho tra le mani una vecchia foto in bianco e nero di mia madre con una bambola ricevuta il giorno di Natale, in un tempo molto lontano. Un unico dono, un balocco desiderato da chissà quanto tempo e maneggiato con cura, quasi fosse una reliquia. Quella bambola è ancora lì, solo un po’ scolorita dai cinquanta e più anni trascorsi. Intatta e ancora viva nel cuore di chi l’ha davvero desiderata, come è ancorato profondamente nel suo cuore chi l’ha a lei regalata.
   Le cosa hanno il valore che noi diamo loro e le ultimissime generazioni rischiano di non essere in grado di dare valore a niente, sia esso un gioco, il cibo o il nostro pianeta. Aggrappati a una dimensione virtuale, di fuga da un mondo dove ad ogni azione è normale aspettarsi una reazione, buona o cattiva, e non esiste un tasto “reset” o “restart”.
   Mi chiedo se sto davvero facendoli diventare grandi, se stia facendo realmente il loro bene oppure se sto solamente creandogli un’eterna fanciullezza, dove ci si rifugia non per scelta, ma solo perché non si è più in grado di vivere una dimensione propria, nel rischio di sbagliare o di provare e sopportare la frustrazione dei fallimenti. E’ un pensiero scomodo, un boccone amaro da digerire in questo banchetto Natalizio. Ma il solo pensiero che un’eccessiva quantità d’amore possa tramutarsi in possessione, in un vicolo cieco, dovrebbe almeno farci riflettere. Siamo nati per essere liberi, come animali nella foresta. Non negli zoo, dove la luce negli occhi delle fiere è tenue a malinconica. Forse è questa la sfida che attende i genitori moderni, regalare del sano insuccesso e qualche costruttiva privazione, per donare la possibilità alla nostra specie di dover rincorrere qualcosa, di faticare e di sopravvivere al peggio, non solo quando questo accade nella trama di un videogioco.
   Se comparisse la scritta “game over” questa volta sarebbe per sempre.  


mercoledì 16 dicembre 2015

Diario di un uomo sospeso…che nasca il male insieme al bene, sicché io possa riconoscerlo.


Diario di un uomo sospeso…



16 Dicembre 2015, che nasca il male insieme al bene, sicché io possa riconoscerlo.


Fantasmi informi escono dalla mia bocca, mentre assaporo l’odore pungente dell’aria invernale. Seduto sul terrazzo di casa, al cospetto di un ignoto,  indefinibile infinito. Un’intensa e gelida stellata m’appaga. Un brivido, una vibrazione. Un’ansia ch’è già angoscia, paura. Un turbinio di contorti pensieri dipana in un velenoso delirio oppure in un dono, una rivelazione. Può darsi che anch’io sia vittima del tranello del maligno, in questa notte, in questo mio sonno della ragione che genera mostri o teatrante d’onirica veglia. Nelle scienze e nelle vicende c’è una cronologia da rispettare, scoperte da seguire e sentieri nitidi da percorrere nella luce della storia, ma anche nella storiografia. Ma nell’ombra dell’animo umano no, è una scala sospesa nel tempo, dove si sale e si scende senza ch’essa conduca ad un luogo anelato di riappacificazione. Qui vago ramingo, in questo luogo evitato e abbandonato, perché difficile da concepire, dinnanzi a statue eburnee dagli sguardi gelidi e fieri, tra frasi graffiate sul granito della memoria, tra ghiaie e arbusti votivi m’arrendo, finalmente ad evidenza interrena. Non rammento ormai più se il vagare mio è per viali di città sognante o per dimore eterne, bagnate da sospirato pianto. 

   Sopraggiunga in questa simbolica notte, tra il giubilo dei giusti e lo spasmo degli ingenui, la nascita del bene, della luce di vita e d’un sole intramontabile. Ma per i saggi, per gli spiriti guida, s’attenda nel medesimo attimo la nascita dell’oscurità rivelatrice. Si osservi con attenzione e distacco in uno scrutare di studio, perché l’uomo buono conosce la montagna, ma una guida deve conoscere i luoghi sicuri e ameni, così come i pericoli e le insidie. Perché la sua anima non s’arresti a osservare l’imponenza, ma volga al raggiungimento della cima. Concetti che ai più parranno blasfemi, deliranti e confusi, ma che non lo sono affatto, perché non ha maggior ambizione nel ritrovar la luce di chi ha riconosciuto il buio.   

  Parole arcane, prima che da comprendere da assorbire. Metabolizzare lo smarrimento provato nell’incedere su di una strada nuova, mai percorsa e contemplata. Provare una sconosciuta gioia dinanzi un bivio, non perché la decisione sia dettata dal conforto d’indicazione, ma per aver seguito la rotta indicata dal cuore. E per ambire la vera gioia, occorre conoscere la tristezza. Per amare il sole, l’aver temuto la notte più oscura e aver operato una scelta, in autonomia.

Un’argomentazione a favore del diavolo:
Bisogna ricordare che noi abbiamo sentito
solo una parte della storia.
Dio ha scritto tutti i libri.

(Samuel Butler 1835-1902)

 
   Una voce proveniente dal passato, mi sussurra all’orecchio parole d’uomo di Chiesa e di Filosofia, di ragion pura. Rammentami che è d’ogni epoca e religione la figura del male, che per orgoglio ed invidia tenta l’uomo debole e incapace. Seth, Shiva, Mara, Satana. Ma dunque Dio, Allah, Jehova, o come si voglia chiamare un’Arché celeste avrebbe commesso un errore? Una Divinità, creatrice d’ogni cosa, avrebbe sbagliato platealmente nel plasmare un angelo ribelle? O nel disegno immenso di una libertà scelta e voluta verso Dio, s’arriva per scelta. Padre Lacordaire bisbiglia alla mia mente: “Dieu, mes fréres, emploie quelquefois des moyens diaboliques!”. Già, forse è proprio così, Dio, alle volte, utilizza dei mezzi diabolici. Così che quell’angelo caduto, temuto dalla notte dei tempi porti ancora, sulla pelle e nel proprio nome, la matrice del progetto di Dio: Lucifero. Lux ferus, dal latino portatore di luce. Cosa può significare mai che l’oscurità del male porti la luce. In questo trova fioritura la supremazia Divina, donare nel rifiuto del male la via che porta alla luce, per scelta autonoma. Così che sia proprio il male a custodire la prima semenza verso il bene, un germoglio di movimento. Un passo legato a una catena di dolce sudditanza, che potrà essere frantumata non assecondando comodità e lusinghe offerte dal carceriere, ma respingendole fermamente. Con il vero e unico dono celeste disponibile all’uomo del libero arbitrio io trovo la verità nella luce, perché avendo conosciuto il buio, ora lo distinguo, lo riconosco e scelgo di andare verso il senso opposto. Una libertà imposta sarebbe stata un’auspicabile ma inappellabile schiavitù ancorata all’ignoranza. Ma l’uomo libero, l’animo che vuole ricongiungersi a Dio, deve scegliere di andare verso Dio, poiché Dio ha scelto per lui la libertà vera, anche se essa comporta il rischio di smarrimento.  

    In questa notte d’avvento attendo il Santo Infante, e che l’amore per la vita possa essere la mia stella cometa. Con l’augurio di riconoscere il buio, per imboccare il bivio che conduce alla vera alba di vita. Dunque, davanti al presepe ringrazio per un immenso regalo, la libertà e la responsabilità di poter scegliere di salvare me stesso, verso la nuova luce e con l’auspicio di un animo illuminato.  


lunedì 14 dicembre 2015

Diario di un uomo sospeso…vi auguro di avere ragione.


Diario di un uomo sospeso…

 

 


Artista nel suo studio- Rembrandt

 

 

12 Dicembre 2015, Vi auguro di avere ragione.

 

 

Le luci della sera sembrano accendersi al mio passaggio. La macchina scivola silenziosa sulla liscia superficie della strada, immersa in una densa nebbia. Da molto tempo non vedevo la stessa compattezza del fantasma di vapore. La luce è filtrata e il bagliore dei lampioni s’intensifica solo quando ci si è sotto; l’avvicinarsi delle cose è rilevato solo all’ultimo istante, quando forse è ormai tardi. Questi attimi di guida mi appaiono un po’come la metafora del periodo in cui vivo, siamo annebbiati, immersi in soffocante vapore di azioni, informazioni, eventi, mutamenti, opinioni, bandiere e correnti. Ormai con la tecnologia moderna ognuno può dire o scrivere al mondo, chiunque può intensificare la densità di notizie, alimentare la narcosi da accadimento. Riceviamo quotidianamente una tale quantità d’input, che il nostro cervello per non cadere nel baratro della follia da sovraccarico, deve obbligatoriamente filtrare, in una qualche maniera, ciò che riceve in continuazione. Da un lato l’istinto potrebbe valutare la cosa come una fortuna, un positivismo, come la risultante della reale libertà; ma in questa infinita democrazia, ove si annida e confonde anche la menzogna, ruggisce il plagio e la malevolenza, è certo che si possa nascondere più di un qualche subdolo effetto collaterale. Innanzi tutto nella maggior parte delle occasioni non ci viene nemmeno concesso il tempo per un approfondimento o per la creazione di un pensiero personale: “Ecco a voi un bel fatto, ma non sprecate del tempo prezioso a capire, vi diamo noi un’opinione già pronta, ecco l’esperto. Voi non siete al corrente di ogni cosa, lui si, e può regalarvi la verità; la sua verità. Non chiedetevi se l’esperto abbia ragione o torto, è una ulteriore perdita di tempo, perché ecco, è già pronta per voi un’altra notizia con un altro esperto e poi ancora un’altra e un’altra ancora”. Bell’essere intelligente che sono, conosco l’esistenza di ogni argomento, anche se in fondo non so veramente nulla di niente. E così, qualcuno cerca di ribellarsi, s’informa, si applica, approfondisce e studia. Ma la vita ti permette di farlo su pochi argomenti, perché non c’è il tempo per l’essenza di tutte le cose. D'altronde sei stato addomesticato a dover lavorare molto, se hai la fortuna di avere un lavoro, per ambire una vita migliore, agiata, ad una ceto sociale più elevato. Se non lo hai, o ti annienti per cercarne uno o esci dal mondo per la porta di servizio con pochi saluti e tanto veleno. Oppure, terza opzione, ti disperi e manifesti, ma non in rappresentanza tua, ma come contorno di una trasmissione televisiva o di una qualche bandiera politica o sindacale; in maniera da infondere il terrore a chi un lavoro lo ha e a rammentargli quanto sia fortunato e quanto debba lavorare sodo per poterselo tenere stretto. Ma mi raccomando, l’importante è non usare mai la testa o usarla il meno possibile, perché al giorno d’oggi, non ci sono quasi più risposte, ma solo domande, moltitudini di domande. Le domande sono comode, possono essere fatte da chiunque, ma le risposte no. Una risposta implica una responsabilità verso chi ti ha fatto una domanda, prima ancora di preparazione sull’argomento. E’ intrinseco anche un rispetto reale di chi risponde nei confronti di chi ha posto il quesito. Chi risponde sta già insegnando qualcosa a qualcun altro, quindi dietro c’è dell’etica, della morale. Allora è meglio rispondere ad una domanda con un’altra domanda, così inverto l’ordine delle responsabilità e me ne lavo le mani. Oppure, ma ci vuole abilità, fornisco una non risposta, ovvero, faccio uso dell’antica arte della dialettica per parlare all’infinito non dicendo nulla. Infine, potrei addirittura arrampicare l’erto crinale del gergo tecnico, usando parole riservate agli addetti ai lavori, in maniera da risultare per lo più incomprensibile e quindi mettendo inevitabilmente l’interlocutore su un piano che ne palesi l’inferiorità, che lo sminuisca, ma soprattutto che lo scoraggi e cerchi di disincentivare l’ardimento nel porre ulteriori e nuove domande. La maggior parte delle persone, soprattutto quelle che si reputano più forti e preparate, cadono in questa trappola e pur di non ammettere e rendere visibile la propria parziale ignoranza su un argomento, nel senso più letterale della parola, fingono di comprendere e si fidano. Bisogna rendersi conto che i burattinai sono molto pochi, le marionette molte. Inorridisco nel rendermi conto di quanta disperazione provo anch’io nel realizzare di essere burattino e non burattinaio, nella maggioranza delle occasioni. Questa consapevolezza dovrebbe renderci diffidenti, agili e scaltri in ogni istante della nostra vita. E’ una legge di sopravvivenza. Era così per l’uomo primitivo perché non più per noi? Duemila anni fa i nostri avi ammonivano: “Homo, homini lupus”, dunque lo sappiamo da sempre che siamo noi il nostro stesso predatore.

   In questi venticinque minuti di tragitto ho già ascoltato tre giornali radio e svariati spot pubblicitari che parevano più realistici del vero. Il mondo sta finendo sotto il peso di una malattia chiamata economia, i paesi civili accusano gli altri di inquinare troppo, i più arretrati rivendicano gli stessi diritti di sfruttamento di cui fruirono i paesi che oggi si reputano civilizzati, e parlano, scrivono, insegnano gli uni gli altri l’arte del temporeggiare e forse a estinguersi insieme, senza aver compreso di chi era la ragione, perché una propria ragione l’hanno tutti. Nulla cambia perché nessun individuo vuole arretrare di un passo la propria condizione, ognuno accampa le proprie ragioni, nessuno ha torto. Tra qualche decennio avremmo un pianeta con un genere umano estinto solo perché ognuno aveva ragione. 

   Quello che penso di me stesso è che per quanto possa pensare e studiare, non avrò mai la piena padronanza e non potrò vantare ragioni, sino al giorno in cui ci sarà qualcosa che dovrò ancora imparare e che potrà capovolgere le mie umane convinzioni.

   Ora, giunto finalmente a casa, davanti all’ennesimo bombardamento di un nuovo telegiornale, penso a quello che comincia a preoccuparmi davvero di più. Immagini di bambini morti e abbandonati su di una spiaggia o in una città desertica rasa al suolo, scorrono mentre provo un senso d’angoscia di appena qualche istante. Osservo epigrafi di uomini che erano forti, o convinti della propria forza, che si uccidono perché hanno scoperto un’imponderabile fragilità, nella perdita del lavoro, dei soldi, dei diritti inalienabili; mi turbano, fino alla pausa pubblicitaria. Comincio a provare orrore nell’assuefazione in cui la mia mente si sta rifugiando. Non cerco e non voglio una via di fuga, una scappatoia o un’anestetica ragione cui fare appello per giustificare il mio benessere, che affonda le radici nel malessere altrui. Vorrei continuare a stare male, a indignarmi, a provare rigetto e a cercare la dietrologia e le fondamenta dei problemi. Voglio arrabbiarmi e impegnarmi se fatico ad arrivare all’essenza utilizzando la mia logica e il mio limitato intelletto. Non voglio avere ragione sempre, ma voglio chiedermi sempre se una ragione l’ho realmente oppure no. L’abitudine non può essere la forza primaria di un’esistenza.
   Vorrei osservare il quadro di questa mia vita da un po’ più lontano, non solo all’ultimo istante e ad un palmo dal mio naso. Ho la necessità di capire se ha un senso questo insieme di colori, se la mia vita è un’opera d’arte o una crosta senza valore. Se al di fuori della tela mi circonda la sala d’un museo o una buia, anonima e fumosa parete di taverna, dove ognuno, intorpidito dai fumi dell’ebbrezza di una finta logica, è convinto d’avere ragione e brinda da solo.            

mercoledì 9 dicembre 2015

Diario di un uomo sospeso…una domenica di sole finto







29 Novembre 2015, una domenica di sole finto



Le foglie sugli alberi sono cadute quasi tutte, le spazzatrici comunali e gli addetti con i loro soffiatori le hanno fatte sparire anche da terra, perché è diventato un problema sporcarsi le scarpe, non avere un lindo manto d'asfalto sotto i piedi. Mi dicono che è pericoloso, perché poi con l'abbassarsi delle temperature si rivelerebbero scivolose, soprattutto per le persone anziane. Penso che sarebbe un rischio che le “persone anziane” correrebbero volentieri, l'unica controindicazione potrebbe essere quella che potrebbero ritrovare alcuni sentimenti felici della propria fanciullezza, quando camminare strisciando i piedi fino a quasi ricoprire le gambe era un gioco, e non certo un rischio. Allora forse a qualcuno verrebbe voglia di camminare di più, e così facendo starebbe meglio, patirebbe meno gli acciacchi e prenderebbe meno medicine. Ma così facendo qualcun altro ci guadagnerebbe un po' meno. Allora non va bene, è rischioso. Già, ma mi chiedo per chi. Se poi per caso un anziano si facesse aiutare da un nipote e magari nel tragitto parlassero? Si confrontassero, si capissero. No, è rischioso. Meglio avere dei marciapiedi lindi ma inutilizzati; poi magari il manto rovinato o dissestato per l'utilizzo di materiale scadente. Lì il rischio non c'è, perché c'è un contratto d'appalto al massimo ribasso, ci sono pastoie autorizzative e vincoli sulla sicurezza, assicurazioni e coperture di rischio che tutelano l'ente ma che paga chi inciampa in quei buchi. Lì il rischio non c'è, c'è solo un'equa ripartizione di denaro.



Il cielo oggi è di una bella tonalità d'azzurro e l'aria è fredda di un autunno durato un paio di giorni, tra un interminabile estate e un inatteso inverno. Il fatto di essere fuori, all'aperto, è già un toccasana al mio animo irrequieto e ingabbiato in questa città dorata, dove tutto è a portata di mano, se si possiedono sufficienti averi. Passeggio tranquillo affiancato da auto intelligenti ma guidate da autisti distratti, ancorato a un macigno che mi pesa da tempo e che logora sonni e veglie: perché sono ancora qui?

Le luminarie natalizie, ancora spente ma approntate, disegnano freddi arzigogoli per addolcire glia animi. Quasi mai funzionano però, perché anche quando sono illuminate è sufficiente che ad un semaforo non ci si accorga dello scattare del verde per sentire un concerto in si bemolle di clacson, e cori impettiti che intonano versi da battaglione alpino con assonanze del tipo  “vai a fare il mulo” o “hai la testa del plotone”. Fatto salvo poi stringersi la mano e augurarsi felicità nei due luoghi di culto della città: la chiesa e il centro commerciale. Vedi alla televisione funeste immagini di territori devastati dalla guerra e senti dire che sono arrivati i terroristi anche da noi,  nel mondo civilizzato. Poi esci a fare due passi e osservi due che si ammazzano di botte per un posteggio rubato. Già, noi del mondo civilizzato non abbiamo il problema delle mine ma dei parcheggi. Ad ogni passo che faccio chiedo a me stesso perché rimango, perché mi ostino a vivere in un mondo che trovo insoddisfacente.  A dispetto di tante persone io non avrei alcuna pretesa, poche semplici cose e un ritrovato contatto con un ritmo da una persona umana. Se continuiamo così tra un po' di tempo vorremo l'inverno di notte, la primavera al mattino, l'estate il pomeriggio e l'autunno la sera. Poco importa se poi la vita di ognuno durerà sessanta o settanta giorni. Vogliamo sempre quello che non abbiamo, dimenticandoci di godere di quello che abbiamo e che è tanto. Il perché rimanere, purtroppo è facile da individuare, è malcelato anche dall'inconscio, perché anche se non lo ammetterei mai, io sono parte di questo presepe dove ci sono due pastori e tutti gli altri si credono re magi. Il cuore ogni giorno ti tenta, soprattutto in giornate soleggiate come queste: “molla tutto e va, ritirati in un paesino a vivere di agricoltura e libero dalle catene dei tempi stabiliti”. La ragione un istante dopo risponde con autorità e rabbia: “ma dove vuoi andare, qui hai le comodità, un lavoro che ti porta del denaro e la tua famiglia che dipende completamente da te, sei matto?”. L'inconscio appassisce come un fiore delicato posto in mezzo a due correnti d'aria gelida. Allora sogno, sogno di poterlo fare, immagino di poter partire e non tornare. Alimento i sogni di menzogne e mi fingo soddisfatto e contento, se non per me, almeno per chi mi sta attorno. Ma quando vedo persone che hanno fatto quel passo e nonostante le avversità appaiono serene, io le invidio. Invidio il loro coraggio, la temerarietà e la ritrovata armonia. Sopravvivo fuggendo, o sfuggendo la quotidianità. Mi regalo brevi momenti di vera libertà, presi come una boccata d'ossigeno prima di una lunga apnea. Scappo sui monti e, quando sono in vetta, osservo l'abisso e quella pianura lontana e avvolta da una ripugnante nebbia giallastra, pensando che quella è la mia casa, la mia tomba. 


Diario di un uomo sospeso…, Immacolata, si ma cosa vuol dire?


08 Dicembre 2015, Immacolata, si ma cosa vuol dire?
 
E' arrivata senza troppo clamore, tutti presi a osservare nefandezze su scala mondiale, quasi non l'abbiamo vista avvicinarsi, arrivare. Il fatto saliente è forse che nessuno conosce più il reale significato della parola “immacolata”. Certo non mi riferisco al senso religioso del termine, ma al significato della parola. Non siamo più certi che esista qualcosa d'immacolato, figuriamoci cogliere un messaggio superiore e spirituale. Ogni cosa che possiamo toccare, ogni azione che vediamo compiere, anche quando non palesa le proprie motivazioni, scopriamo avere alle spalle interessi nascosti, ambizioni celate o subdoli progetti e promesse. D'immacolata non ricordo nemmeno la neve, neanche quella scappate alle alte quote. Siamo riusciti a inquinare anche quella. Da dove ripartire nel ricercare qualcosa che m’infonda ancora la speranza di un qualcosa di immacolato. Forse, e sottolineo forse, è proprio quello che mi manca, un esempio, un campione a cui tendere. Certo è facile nascondersi dietro il velo delle filosofie o delle religioni, ma quello non è un esempio, è un insegnamento. Quante volte è capitato di vedere qualcuno elargire insegnamenti, ma poi compiere l'esatto contrario. Certo a elevarsi professori ci si pavoneggia e si assecondano le proprie propulsioni alla gloria, mentre a dare l'esempio si fa fatica, occorre spirito di sacrificio e costanza, molta costanza. E' l'unico modo però, per dare un esempio a chi non ne ha, a chi lo cerca per seguirlo come stile di vita. Manca forse la concentrazione, la capacità reale di comprendere quali siano oggi le cose indispensabili da tenere, da quelle che non lo sono. E tutto si focalizza sul benessere dell'individuo, mandando in malora il pianeta e la vita di tutte le altre persone. Mi torna in mente un film da titolo il Marchese del Grillo, così è oggi, le cose si sanno, gli obblighi si conoscono, ma a me non si applicano; “Perché io sò io, e voi non siete un cazzo”.  L'interesse personale non gioverà per sempre al ricco, perché quando ci sarà da respirare solo veleno, lo respirerà anch'egli. Quando dovrà combattere contro la malattia, che non pensi che la ricchezza lo guarisca; allevierà il dolore, soffrirà in una camera lussuosa o forse non soffrirà perché drogato a dovere, ma di certo una fine giungerà anche per lui. Forse l'amore è immacolato, ma s'intravedono i segni dell'usura del tempo. La possessione viene confusa con l'amore, il comando e il controllo vengono presi come simboli di un amore. Addirittura la violenza e un incomprensibile sacrificio, vengono intesi come atti in devozione di un amore superiore. Certo che la mente umana è pericolosa e mai immacolata, proprio perché umana. Allora se non gli esempi, mi rimangono i gesti; quelli si immacolati, nella loro impalpabile durata. La carezza ad un figlio, il sorriso ad un genitore, l'abbraccio tra amici nella sofferenza e il conforto di una parola nel tempo dello sfogo. Ancora nel mondo, una brezza profumata che accarezza il viso, la meraviglia risvegliata nella fioritura cangiante e ancora, lo struggersi davanti al tramonto infuocato e la maestosità del mondo visto da una vetta. Certo questi accenni di fiamma non saranno mai visibili come l'incendio di una pira, come la vita di un popolo Giusto, ma insinueranno nell'anima un lieve bagliore, costante e ambito, se assaporato. Un tenue segnale che indica la via, qualcuno potrebbe dire quasi una stella cometa da seguire. Se per immacolato intendo senza macchia, ovvero, senza che nulla intacchi il suo scopo, il suo senso, allora l'unica cosa davvero immacolata che vedo è il male. Imperturbabile al tempo, sofisticato nell'espressione e infinito, nella durata e nell'intensità. Mi chiedo se allora in una festa come questa sia giusto parlare di ciò che è buono, perseverando in ciò che non lo è. Non sarebbe meglio enfatizzare, almeno a noi stessi, ciò che di immacolatamente malvagio abbiamo compiuto, per vergognarci, per sentirci deboli e nudi di fronte alla verità. Certo non è un argomento per i bambini, ma per gli adulti si. E risvegliati alla nostra vista i vizi e le storture del nostro atteggiamento, che ormai consideriamo normali, potremmo finalmente cercare di cambiare la nostra direzione verso un obiettivo diverso, verso le cose davvero essenziali. Mi guardo allo specchio e se penso a tutto ciò, rinnego il mio stile di vita, che è comodo per me,  ma è veleno, schiavitù e morte per qualcun’altro. Mi chiedo cosa ancora io stia aspettando, ad abbandonare il mondo e scegliere un ascetico isolamento. La responsabilità, ecco la catena, il senso di responsabilità che ho verso chi, nonostante tutto in me, ancora cerca un esempio da seguire, più che un dispensatore di belle parole. Soffocherò quel senso di evasione e mi accontenterò di raccogliere i piccoli gesti, come si raccolgono le conchiglie dalla spiaggia, per avere il ricordo del mare, dell'infinito e della libertà. Allora sarà forse la fatica dell'esempio trasmesso ad essere veramente immacolata. Allora saprò cosa festeggiare, o almeno non mi lusingherò nell’avere un magnifico pacco regalo, ma vuoto all'interno.