lunedì 29 febbraio 2016

Diario di un uomo sospeso…Per quanto tempo riuscirò a tacere quel richiamo

Diario di un uomo sospeso…



29 Febbraio 2016, Per quanto tempo riuscirò a tacere quel richiamo….

Piove fuori dal vetro, gocce sottili ma fitte. Tutti contenti perché l’aria si è ripulita. Ma dove credono sia andata a finire tutta la sospensione di merda che aleggiava in quella cappa gialla e puzzolente dei giorni passati? Non vediamo al di là del nostro naso. Possibile che nessuno dica: ragazzi la pioggia sta facendo assorbire quello schifo che impregnava l’atmosfera al terreno, se abbiamo fortuna la filtra, altrimenti avremmo delle falde salubremente contaminate e berremo merda annegata nel cloro. Tanto l’acqua non è così importante, finche la troviamo al supermercato. L’acqua non è di moda, non è a rischio d’estinzione (quella potabile si). Il Sospeso vomita di continuo rigurgiti di orgoglio naturista, residuo bellico di quando lavorava nel verde. Non aveva molto, veniva snobbato, a volte deriso o compatito per le condizioni di lavoro, eppure la sera, dopo una doccia rigenerante era sereno. Caldo torrido d’estate e freddo gelido d’inverno, ma a quel tempo, mai malato e spesso contento.  Pochi soldi, poche pretese, era uguale a serenità. Aveva il giusto che gli serviva, nulla di più. Non ambiva a fronzoli, godeva dell’essenza delle cose perché le rispettava e abbinava loro un valore solo in natura della fatica spesa per ottenerle. Viveva il tempo delle stagioni. Si cibava della luce sempre diversa, ambiva le penombre mutanti alle inclinazioni del sole. Si meravigliava di come comparivano macchie di colore giorno dopo  giorno diverse, che rinnovavano il paesaggio ad ogni stagione. Oggi tutto appare sempre uguale, bagliori di luce fuori dal vetro cercano di richiamare l’istinto dell’uomo. Ormai viziato dal caldo soffocante nell’inverno e dal freddo sintetico nell’estate, fatica a reagire il corpo, anche se l’animo urla pietà della sua condizione umana.  Anche l’amico, eremita della Val Grande, lo ha lasciato per sempre. Colui che gli ricordava, con l’esempio, che l’umanità non è spacciata. Il Sospeso ha paura, ha il terrore folle di veder perire il suo istinto selvatico, quello che ad ogni respiro lo incita a ritornare a casa, alla natura. Sorride pensando alla fatica vera e alla soddisfazione nel vedere plasmato dalle sue mani del lavoro frugale e onesto, senza margine di sopruso e di spreco. Addirittura contribuiva a sviluppare il paesaggio. Altro che dileggio, quella era vera creatività, materializzarsi di fantasia e genio, nel rispetto delle leggi biologiche vegetali. Già, nel rispetto. La sofferenza e la tristezza, forse nascono proprio dall’aver ceduto alle lusinghe della comodità, credendo di vendere solo un poco di se stessi. Invece era il rinnegare totale di se stessi, del proprio modo di essere. Certo oggi è ancorato dalle responsabilità economiche necessarie per una famiglia, ma si sente in dovere di far crescere anche delle anime e delle coscienze. Con che genere di esempio?  Quello della perpetrante negazione delle proprie pulsioni per una misera certezza? Sarebbe come dire che il cacciatore è sfortunato perché non sa se prenderà una preda, mentre lo schiavo è fortunato perché, anche se misero, avrà un pasto al giorno. Se potesse ammetterlo senza ferire nessuno, direbbe che se fosse per lui, sarebbe meglio morire di stenti, ma sotto un cielo stellato. Chiudendo gli occhi dinanzi le stelle saprebbe di aver vissuto per davvero. Soffoca. Manca irrimediabilmente l’aria in quella scatola d’oro. I grandi dell’economia mondiale si stanno ritrovando per parlare di un problema ormai innegabile. Il cancro ha intaccato completamente il paziente che agonizzante sta morendo. Spegnendosi il paziente anche il cancro sta rallentando il suo sviluppo, il suo parassitismo cannibale. Preoccupatissimi, devono trovare stimoli e cure. Ma il dubbio è se lo facciano per salvare e guarire il paziente o per rimetterlo in sesto quel poco che basta affinché possa il cancro tornare a correre? Il Sospeso non lo sa più, ma è certo che se affidiamo il debellamento della malattia a chi attinge il proprio guadagno dalle cure necessarie per affrontare la malattia stessa, qualche dubbio appare lecito porselo (anche se si fa peccato, diceva uno…). Molto tempo fa avrebbe sussultato e ruggito come un leone davanti a questi argomenti. Oggi pateticamente gli si stringe il cuore e piange, per un mondo considerato solo come incubatrice per il proliferare di altre cose. I più scaltri e ricchi già fiutano l’idea di inocularsi su altri pianeti.  Chissà, si chiede con l’unica arma rimastagli, il sarcasmo, se la farmaceutica sarà la salvezza del genere umano. La speranza è che inventino una pastiglia, magari non blu, che aumenti la consapevolezza delle persone, la capacità di osservare da più punti di vista le cose. Così cominceranno a parlarsi, senza “like” o # davanti alle parole. Si guarderanno in faccia e si ricorderanno che il cielo azzurro è sorprendente, sia da un prato che da uno yacht di trenta metri; perché l’importante è il cielo, non da dove lo si osservi. Fondamentale e che possa vederlo io, ma uguale a me possano vederlo i miei figli e, a Dio piacendo, magari anche i miei nipoti. Forse uno scienziato pazzo genererà un essere umano in provetta, un OGM con il DNA dell’uomo onesto e giusto, che raggiunta l’età della ragione, nel dubbio se trucidare o perdonare tutto il resto dell’umanità, parlerà alle folle. E alcuni lo scotenneranno e altri lo adoreranno, e avremo un’ulteriore religione da difendere con le unghie e con i denti. Il Sospeso sa bene che sono pensieri figli di una fantascienza delirante, ma come il leone allo zoo, che non ha più luce di speranza negli occhi, e vede il ricordo della vera libertà svanire nel tempo, anche lui usa l’unica forza rimastagli per non soccombere all’apatia cronica. La sola essenza, cui non è ancora possibile imporre un argine: la fantasia. 

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