mercoledì 9 dicembre 2015

Diario di un uomo sospeso… il diario della decadenza



18 Ottobre 2015, il diario della decadenza
 
Comincio la narrazione della storia del Sospeso oggi, domenica 18 Ottobre 2015. Un giorno come tanti passati e tanti futuri, in un’esistenza all'apparenza blindata alla quotidianità. E' buffo come a volte si desiderino contemporaneamente cose opposte, eppure è così. Magari l'istinto ci suggerisce il cambiamento ma la razionalità lo teme, e quindi ci fa ambire il non cambiamento, la quotidianità appunto. Era da tempo che non usciva più per fare una corsetta rilassante, nonostante i buoni propositi il tempo non era mai abbastanza. Il lavoro sempre più opprimente in una morsa soffocante, degna di un boa constrictor. In aggiunta una famiglia numerosa e un habitat quotidiano caotico e stressante portarono ad un sovraccarico di tensione il Sospeso. Lo avevano soprannominato così alle scuole superiori quando in un tema scrisse appunto di sentirsi come un viaggiatore sospeso tra mille realtà, di cui però nessuna capace di assorbirlo completamente, da renderlo pienamente vivo al tempo presente. Per uno scherzo del destino la frase piacque alla professoressa che volle leggerla davanti alla classe. Settimane di acida goliardia portarono a marchiare quel soprannome per il resto della sua esistenza.
   Esistenza, assurda parola. Apparentemente sembra indichi un arco di tempo molto lungo, quasi infinito. E' l'inconscio umano che boicotta la percezione della realtà, perché se ogni giorno, ogni istante pensassimo fosse l'ultimo, allora probabilmente sarebbe vivremmo in un mondo di solo isterismo e pazzia. Forse è già così, può darsi che siamo sul baratro della resa dei conti, ma fingiamo di non accorgercene per non venire divorati dalla belva del terrore. Siamo soldati che combattono per sopravvivere alla vita, ma a dispetto della modernità che ci ha ingurgitati, siamo molto più fragili degli arretrati avi. Ci agghindiamo di progresso e tecnologia, per la quasi totalità superflua, ma basta che ci venga tolta una di queste cose che ci sentiamo smarriti, inermi, persi. Se poi a lasciarci è una cosa fondamentale, allora è davvero una caduta rovinosa.
   Dal tempo delle scuole superiori, da quando aveva per la prima volta compreso la realtà di quelle due parole “Soldati” e “caduta” in un unico contesto, il binomio non lo aveva più abbandonato. Quel titolo “Soldati” e quelle parole, brevi nella composizione, ma infinite nel senso e nel dramma “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”, lo avevano sconvolto, reso ancora più sospeso. Aveva davanti agli occhi le foglie ingiallite dei platani del viale Boccaccio, ingiallite e morenti, e si rese conto che una foglia che cade nella terra, marcisce e genera nutrimento, dalla fine a nuovo inizio, ma sull'asfalto della città vi è solo morte e abbandono. Cosa può cercare e trovare l'animo in un oblio asettico, in una foresta addomesticata. Quale impulso, quale crescita, se non nel ricercare un proprio ambito in cui scovare appigli di una propria evoluzione. Perché alla fine è di questo che stiamo parlando, di trovare un nostro senso, un nostro scopo ai giorni che riempiamo con la nostra presenza. Quando ci rendiamo conto di questo, percepiamo anche quanti giorni abbiamo sprecato, tempo lasciato scivolare via, senza cogliere nulla. Quanti frammenti di tempo possiamo ritenere fondamentali al nostro vero io. Non al nostro mantenimento economico o alla nostra gaudiente ambizione. A noi, al nostro essere. Quanti di noi saprebbero dire con sufficiente realismo cosa rappresentiamo a noi stessi, non agli occhi degli altri, ma a chi non può essere taciuta alcuna verità. Cosa è necessario ricercare, un'elevazione del nostro io, o solo un innalzamento della nostra reputazione verso gli altri. Dove dobbiamo ricercare la vera felicità, nella sopraffazione, seppur pacifica, degli altri o  in una difficile e laboriosa tessitura del nostro spessore morale. Cosa farebbe di noi uomini migliori, quale delle due opzioni risulterebbe più utile al mondo.
   Un soffio di vento e una leggera bruma accompagnano il declino della luce solare. Giallastre lampade insinuano ombre tra le fronde, un sommesso rumore d'auto che sfrecciano sul viale alberato intorpidisce i riflessi. Il Sospeso si perse nel labirinto a lui più congeniale e da lui più temuto, quello dei suoi pensieri. In cerca della direzione, in cerca forse, di cosa il suo istinto tentava di comunicargli. Per non impazzire, per non annegare nel fatalismo, per cercare di sopravvivere all'irrazionale ragione che ci ha portati in vita e che con lo stesso cinismo la leva senza rimpianto alcuno.

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