lunedì 17 giugno 2013

Il trionfo dei Benedettini


Immerso nelle meraviglie naturali dell’Umbria appenninica, molto tempo fa, viveva una numerosa comunità monastica Benedettina. Quel nutrito numero di monaci, guidati da un anziano Abate  prossimo alla santità, lavoravano e pregavano in totale armonia tra loro e con tutto il creato. Tra quegli uomini vi era anche un novizio di nome Antonio, un trovatello totalmente muto, ma con una bravura immensa nella pittura. Il suo dono era talmente grande che i monaci dicevano che la sua pittura era la voce di Dio. L’Abate Giacomo, era molto orgoglioso e amava profondamente i membri della sua comunità, che un giorno chiamò il ragazzo e gli affidò il compito di dipingere un grosso quadro che rappresentasse il loro fondatore, S. Benedetto da Norcia avvolto dal calore dei Santi e di tutti i confratelli. Il ragazzo accettò, la tela già appesa sopra l’ingresso della chiesa fu coperta per non distrarre i monaci in preghiera ed il lavoro del giovane iniziò. Passarono i mesi mentre il ragazzo veniva spesso sorpreso a fissare i volti di quelli che lo circondavano, in modo da poterli meglio raffigurare. Un sabato di primavera il lavoro fu finito. L’indomani sarebbe stato domenica, così l’Abate decise che la tela sarebbe stata scoperta dopo la funzione, in modo da poter condividere quella gioia con gli altri confratelli. Il giorno seguente tutta la comunità era in euforica agitazione ed anche l’Abate si sentiva molto curioso e contento. Al termine della funzione dopo alcuni canti di ringraziamento al Signore la tela fu scoperta. Purtroppo, appena i presenti videro il dipinto, sui loro volti non fiorì lo stupore, bensì l’orrore. L’imponente quadro rappresentava tutta la comunità monastica, ma nell’insieme si riconosceva nitidamente lo sguardo del Demonio. I più iracondi cominciarono ad insultare il giovane, accusandolo di blasfemia e di eresia. Gli animi si scaldarono e ci furono momenti di vero subbuglio. Fortunatamente alla fine prese parola l’Abate. Decise che il ragazzo fosse mandato nella sua celletta per pregare, mentre Lui, l’Abate, avrebbe riflettuto con una veglia oratoria sull’accaduto. Quella notte, nella cella dell’Abate, se fosse realtà o sogno, nessuno lo seppe mai, apparve un angelo. L’angelo spiegò all’uomo il senso dell’opera, ovvero, che lo sguardo del demonio s’infiltra dovunque, anche nei luoghi più santi. Il dono più grande che Dio ci ha donato, è la possibilità di rifiutare ogni sua falsa lusinga. Ecco, quella è l’essenza del vero trionfo di quella comunità e dell’Ordine intero. Quello è lo scopo finale della vita monastica, vivere la propria umanità tendendo all’esempio di Cristo, ma rifiutando consapevolmente ogni genere di lode terrena del maligno. Se nel creato esistesse solo il bene, vivreste senza alcuna difficoltà un’umanità senza ostacoli ma anche un’esistenza univoca, quasi una schiavitù. Il dono più immenso è la possibilità di avere una scelta e la libertà di farla. Al risveglio, l’Abate convocò tutti in Chiesa e lì riferì ciò che l’angelo aveva detto Lui, proclamando la più bella omelia mai udita dai suoi confratelli. Il ragazzo, tempo dopo, divenne monaco ma da quella fatidica domenica ritrovò miracolosamente la voce. Sfortunatamente però, con il giungere della voce, il giovane smarrì completamente il suo dono artistico. Divenne comunque un buon erborista.
Questa storia è totalmente frutto della mia fantasia, però il quadro esiste davvero. E’ situato nella Basilica di San Pietro a Perugia ed è un dipinto di Antonio Vassilacchi, datato 1592 . La sua storia è totalmente diversa da quella che ho inventato, ma il suo significato è e rimarrà per sempre un mistero, a patto che, non vi appaia un angelo.  
Camòrs        

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