mercoledì 12 giugno 2013

La preda spacciata



Mi svegliai di soprassalto all’abbaiare dei cani e mi accorsi immediatamente di avere le mani intrise di sangue. Cos’era successo? O meglio, cosa avevo commesso?
Non ricordavo nulla, ma uomini e belve mi stavano cacciando. Terrorizzato cominciai a correre, a scappare, attraverso quei posti tetri e funebri, come il mio avvenire. Quegli uomini lanciarono le fiere rabbiose verso di me, verso un loro simile, ignaro della propria colpa.
Giunsi al lago ghiacciato e caddi a terra, vittima dello sfinimento. La mia immagine veniva riflessa dal ghiaccio, ero sporco ed emaciato. Gocce di sangue colavano dalla mia fronte sporcando quel gelido specchio. Quel tiepido rivolo di vita mi stava abbandonando ed io compresi, o solamente ricordai, che il sangue sulle mie mani era il mio.
Quale colpa allora?
Cani rabbiosi, addestrati a dovere, mi assalirono e per me fu solo angoscia e dolore. Riaprii gli occhi, impastati da laceri brandelli e lacrime, intravedendo esanime, lo sguardo infuocato dei miei predatori. Quelle persone, quegli uomini, avevano lo stesso mio volto e le stesse mie fattezze. Rantolai e morii, credo.
Questa fu la fine del mio lato umano, dell’animo buono, ingenuo.
Quel giorno erano tutti orgogliosi, soddisfatti; tranne me. Finalmente ero cresciuto. Finalmente ero diventato un uomo moderno. 

Camòrs  

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