sabato 28 settembre 2013

La stagione entrante (The coming season)


   … giunse ansimante e turbato, avvolto da sapida disperazione, giunta improvvisa, al pari d’un temporale estivo. La stagione però, non era più quella e tutto intorno a lui lo stava dimostrando da tempo. In particolar modo la natura, agghindata a festa di colori vivaci e profondi, ammaliante fanciulla nel pieno della maturità. Lui però, non aveva mai colto i segnali del mutamento, era troppo impegnato, troppo concentrato. Aveva un compito, un solenne dovere, un personale auto inflitto precetto, occuparsi della sua famiglia e del loro benessere. L’errore, capì solo in quel momento giungendo alla soglia d’un abdicante sole cremisi, era stato quello di estraniarsi dal mondo, di isolarsi nella sua personale battaglia, di violare la propria umana natura per un valore che superficialmente riteneva superiore. Era giunto addirittura a bramare lo scorrere del tempo, per cogliere frutti e accumulare auree messi. Fu proprio questa crescente sensazione d’angoscia, di mal interpretazione ad accoglierlo nel teatrale tramonto, fregio prezioso nei suoi occhi increduli e umidi. Laggiù, immersa nei primi lembi d’una setosa oscurità, cominciò a risplendere la prima stella della sera, la spietata e brillante consapevolezza. Rimase immobile, imitando le fattezze dei tronchi che erano a circondarlo, piegati a contorte nodature di sofferenza. Avvolto da violenti colori sfumati, che parevano evasi da tele fiamminghe, riconobbe il suo sbaglio.
    Capì d’aver sempre lottato per un futuro inesistente, per quella finta immagine di promessa sicurezza, d’una falsa quiete, cantata da moderne sirene, malvagie e mendaci. Eppure era così semplice, pensò, era così evidente. Era il puro dualismo universale a palesargli ora lo spreco: ogni giorno in più è un giorno in meno. Ogni persona conosce il suo destino, dal primo istante di vita, eppure ogni mente è così stolta da illudersi di avere infinito tempo a disposizione. Infame inganno forse, figlio di vigliaccheria, subdolamente giocato da un inconscio pavido nel terrore della morte. Uno sforzo, un eccesso, per trovarsi poi a riscuotere una questua di vento con retino da farfalle. Che spreco, che sciocco.
    Si lasciò cadere sulla panca di legno alle sue spalle, rimanendo a fissare il meraviglioso gioco di nubi arroventate scomparire nella crescente oscurità; basta correre, basta ignorare. La stagione entrante era l’autunno consolatore e riflettendo si convinse che non tutto andava conquistato, ma che invece avrebbe dovuto spendere del tempo a scovare i regali della vita; che sono molti e a dispetto dell’infinito valore, non hanno un prezzo. Comprese, nella brezza della sera, che da li a poco anche quella stagione meravigliosa avrebbe lasciato il campo ad altro scenario, brillante di cristalli. Socchiuse gli occhi e pensò che in fondo la vita andrebbe vissuta di più nel presente, perché in fondo, ha la stessa durata di una giornata invernale, dove il buio arriva presto.

Camòrs 

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